Storia della bambina perduta Elena Ferrante

“Ma io […] sentivo che in me lo spavento non riusciva a mettere radici, e perfino la lava, tutta la materia in fusione che immaginavo nel suo ruscellare igneo dentro il globo terrestre, tutta la paura che mi metteva, si sistemavano nella mente in frasi ordinate, in immagini armoniche, diventava un lastricato di pietre nere come per le strade di Napoli, un lastricato di cui io ero sempre e comunque il centro. Mi davo peso, insomma, sapevo darmelo, qualsiasi cosa accadesse. Tutto ciò che mi investiva […] sarebbe passato e io – qualsiasi io tra quelli che ero andata sommando –, io sarei rimasta ferma, ero la punta del compasso che è sempre fissa mentre la mina corre intorno tracciando cerchi”.

“Lei possedeva intelligenza e non la metteva a frutto, ma anzi, la sperperava […] Questo era il dato di fatto che doveva aver ammaliato Nino: la gratuità dell’intelligenza di Lila. Essa si distingueva tra tante perché con naturalezza non si piegava a nessun addestramento, a nessun uso e a nessun fine. Tutti noi c’eravamo piegati, e quel piegarci ci aveva – attraverso prove, fallimenti, successi – ridimensionati. Solo Lila, niente e nessuno pareva ridimensionarla.”

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Shakespeare and Company Sylvia Beach

Che emozione questo memoir!
Sylvia Beach rievoca il fermento culturale della Parigi degli anni Venti, fa rivivere personaggi e amicizie, racconta avventure e disavventure (letterarie e non) e soprattutto dipinge, anche attraverso buffi aneddoti e frequenti tocchi di ironia, figure straordinarie nella loro assoluta umanità, donandoci ritratti indimenticabili di scrittori e artisti celeberrimi (Joyce è il grande protagonista) quanto di personalità meno note (impossibile non voler bene a McAlmon): tutta questa vita, tutte queste vite, nella storia della Shakespeare and Company, la scommessa di una donna appassionata che diventa crocevia di libri e (aspiranti) scrittori, base per sognatori e menti ardite, punto di partenza di iniziative ed eventi fino a casa editrice temeraria, coi suoi pochi mezzi, del capolavoro joyciano che nessun altro ebbe il coraggio di pubblicare.

E c’è un pensiero che mi commuove moltissimo: la storia della libreria che per un ventennio ha inciso sulla vita culturale di Parigi (e del mondo intero) è soprattutto la storia di quella che per moltissimi fu, nel modo più semplice e prezioso possibile, una seconda casa.

Libro meraviglioso.

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Mr Zuppa Campbell, il pettirosso e la bambina Fannie Flagg

Un paesello su un piccolo fiume nel sud dell’Alabama, personaggi singolari e un simpatico esemplare di cardinale sono gli ingredienti di una storia leggera, piacevole e divertente, che strappa mille sorrisi riuscendo a parlare, al contempo, di riscoperta di sé e del mondo attorno a sé, di contatto con feste e tradizioni, del valore di una comunità, di altruismo e di speranza.

L’arco temporale della storia, che si svolge più o meno da un Natale a quello successivo, e gli sviluppi della trama legati al Natale lo rendono perfetto per questo periodo dell’anno!

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Ero invisibile Maura Hary

Con un ottimo uso della prima persona abbinata al tempo presente, l’autrice ci racconta la dodicenne Chiara e il suo percorso di crescita – percorso che si snoda tra l’ambiente scolastico e quello familiare – portandoci a riflettere sulla solitudine (ricercata o meno), sulla forza benefica della creatività, sul ruolo degli adulti nella vita dei ragazzi, sull’importanza di chiedere aiuto quando ne abbiamo bisogno, sulla necessità di guardare le cose da un’altra prospettiva e sul valore dei legami, in particolare dell’amicizia.

Una scrittura piena di tocchi ironici, che avvicina temi importanti con tono leggero, riuscendo a strappare più di qualche sorriso.
Nota speciale agli scarabocchi sciocchi di Chiara: fantastici!

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Zerfall Shanna Luciani

Che gran bel lavoro sta facendo Shanna Luciani con la sua saga storica!

Mentre la molteplicità dei punti di vista si associa alla varietà dei luoghi – da teatri a vecchi campanili, da ville lussuose a sagrestie, da ospedali a case di campagna – e mentre ricevimenti e spettacoli si alternano a bombardamenti e azioni di lotta, questo terzo volume sposta decisamente il focus su illusione e disillusione, sulla perdita di direzione, sul senso di colpa, sui retaggi familiari, sulla responsabilità, sulla ricerca di riscatto e sul confine tra quest’ultimo e la vendetta.
All’accuratezza della scrittura, che scava nel profondo anche grazie all’attenzione alla gestualità minima, alla mimica facciale e a un uso quanto mai sapiente delle luci e delle ombre, si associa uno studio magistrale della struttura – studio che emerge sempre più chiaramente man mano che ci si avvicina al finale (incredibile il lavoro sul finale!)

Impossibile non menzionare il nuovo tormentato (e decisamente affascinante) punto di vista, quello di Joachim, ma una nota speciale va a Cesare, il personaggio che in questo volume si trova, spinto tra un fuoco e l’altro, nella situazione più tragica in assoluto, con un conflitto interiore estremamente interessante, oltre che commovente.

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Storia di chi fugge e di chi resta Elena Ferrante

“Lila parla e parla a voce bassa. […] Io mi sento come il cavaliere di un romanzo antico, che chiuso nella sua armatura splendente, dopo aver compiuto mille prodigiose imprese in giro per il mondo, si imbatte in un mandriano cencioso, denutrito, che senza mai muoversi dal pascolo piega e governa a mani nude orribili bestie con un coraggio portentoso.”

“Diventare. Era un verbo che mi aveva sempre ossessionata, ma me ne accorsi solo per la prima volta in quella circostanza. Io volevo diventare, anche se non avevo mai saputo cosa. Ed ero diventata, questo era certo, ma senza un oggetto, senza una vera passione, senza un’ambizione determinata. Ero voluta diventare qualcosa – ecco il punto – solo perché temevo che Lila diventasse chissà chi e io restassi indietro. Il mio diventare era diventare dentro la sua scia. Dovevo ricominciare a diventare, ma per me, da adulta, fuori di lei.”

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Crepuscolo Kent Haruf

L’ho concluso solo ieri, ma lo so per certo: questa è una storia che resta.
È una storia che resta per come svela nell’avvicendarsi degli agenti atmosferici il senso delle stagioni e la profondità dello scorrere del tempo.
È una storia che resta perché l’intreccio e i personaggi – molti già presenti in Benedizione e in Canto della pianura – sono raccontati con umanità rarissima.
È una storia che resta perché parlando di solitudine, di separazione, di perdita e di violenza domestica ci racconta, al contempo, di generosità, di attenzione al prossimo, dell’amore nella semplicità dei gesti, del significato autentico dei piccoli riti della quotidianità, dell’importanza di una parola detta al momento giusto.

Ed è una storia che resta perché nel modo più semplice e più pacato possibile Kent Haruf ti sbatte di fronte la meraviglia e la disperazione della vita come nessun altro sa fare.

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