Oltre il confine è il romanzo immenso di uno scrittore immenso

Ci sono pagine di questo libro dove semplicemente smetti di respirare. Pagine che pensi di fermarti perché non sei in grado di reggere un minuto di più la storia e la prosa. Pagine che dopo averle lette resti a fissare il soffitto per ore. È questo che ho fatto alla fine della prima parte, è questo che ho fatto alla fine del libro.
E comincio così il mio articolo perché non so da dove altro cominciare se non da quello che leggere Oltre il confine comporta. Se non da quello che la penna immensa di McCarthy ti lascia.
Gli occhi gialli di una lupa, ad esempio. Sarà impossibile dimenticarli.
È con lei, la lupa, che inizia il viaggio di Billy Parham avanti e indietro per il confine tra New Mexico e México, un percorso fisico e interiore lungo strade familiari e ignote, un’iniziazione violenta che passa per margini geografici invisibili, per simboli e significati che si deformano laddove niente sembra cambiare.
Oltre il confine è un western di formazione, e con Cavalli selvaggi, primo della Trilogia della frontiera e suo predecessore, condivide il fulcro motore del viaggio e il potere arcano dell’ambientazione, discostandosene tuttavia per l’orientamento e, soprattutto, per il tono: laddove il primo era spensierato, il secondo è cupo; laddove il primo era sfumato e misterioso, il secondo è concreto e mistico; entrambi ti scavano dentro, ma se il primo lo faceva ammaliandoti, il secondo lo fa lacerandoti.
Anche la linea sui protagonisti è diversa: la scelta di lasciare John Grady Cole un poco sfuggente si accorda bene – e contribuisce – al fascino incantato e fumoso di Cavalli Selvaggi; Billy Parham, invece, lo si inquadra subito, e i suoi intenti e rimpianti orientano una trama più tangibile e toccante.
Billy è un ragazzo onesto, generoso, con un forte senso del dovere e con un senso di appartenenza che vive nel modo più profondo proiettandolo sugli altri. Non per niente, è il leitmotiv del riportare a casa a guidare l’intera storia – e riportare a casa implica il confronto col confine; riportare a casa determina incontri con persone, eventi, storie – come se per Billy la ricerca di sé passasse attraverso il recupero del posto giusto per chi, in un modo o nell’altro, ai suoi occhi ha perso la strada, o per chi a quel posto è stato sottratto.
In questo percorso di passaggi(o), legami con animali, persone e luoghi si creano e mutano in continuazione, configurandosi base e forza portante dell’idea stessa di appartenenza. Lo vediamo in tanti modi: nell’implicito doppio di quel es mia tra un ragazzo e una lupa; nel rapporto profondo e tormentato tra due fratelli; nel sentimento silenzioso ma altissimo di un giovane nei confronti di un luogo che ha sempre chiamato casa.
In questi e in molti altri sensi, Oltre il confine è una storia che parla d’amore. Una storia pervasa da moti di struggimento e di tenerezza che scuotono nel profondo. Come scuote l’altezza e la potenza della scrittura. McCarthy, per esempio, non ti racconta mai cosa pensano i personaggi – te li mostra, pensieri e sentimenti, nel mutare della luce sotto i loro sguardi, nel modo in cui percepiscono il paesaggio, nel loro rapporto con la natura e gli elementi (emblematico, in questo senso, come l’immensa solitudine di Billy ci travolga mentre lui accarezza il cavallo, alza lo sguardo verso un falco o raccoglie la legna per il fuoco). Allo stesso modo – e questo è ancora più disarmante – McCarthy riesce a parlarti di tutto ciò che è la vita, il dolore, l’esperienza umana semplicemente raccontandoti gesti quotidiani (quelli compiuti in casa, ad esempio, come riempire un piatto o accendere una stufa).
Ecco perché nel gesto più semplice c’è una solennità che sconvolge; ecco perché anche in pagine prive di eventi c’è tutto; ecco perché la storia ha un sapore epico dalla prima all’ultima parola.
La storia, poi. La storia.
Una storia di cavalli, terra rossa, alte montagne, deserti, braci, solitudine, piste di carovane, sangue, orazioni, polvere, uomini generosi e uomini crudeli, abiti logori, fratellanza, vento, altopiani selvaggi, sensi di colpa, praterie, e nel frattempo soli rossi che fremono, fiumi come metallo di fonderia, pascoli notturni azzurri e silenziosi, il sibilo del nevischio che muore tra le braci, cittadine al buio come serpenti adorni di pietre preziose, antichi pioppi in un paesaggio da fiaba, il silenzio di temporali lontani come in una campana di vetro, e poi lunghi tramonti blu, storie raccontate a un cavallo coperto di brina bianca, luci lunari tra le nuvole come candele piantate su teschi, gridi nell’oscurità nelle scintille di un fuoco, stelle come fori in una lanterna di latta; e gli occhi della lupa che si incendiano come lampioni di una porta su un altro mondo; e in un mucchio di carboni una finestrella segreta, aperta sul nocciolo infuocato della terra; e poi chiazze di umidità sui muri che diventano mappe di antichi mondi; e cancelli d’ingresso di un’antica impresa, caduti per terra, nella griglia metallica lucida dell’acqua in un campo.
È questo che ci dona la penna immensa di uno scrittore immenso. Tutta questa poesia. Tutta questa poesia nel mondo. Tutta questa poesia nel suo realismo desolato. E una prosa che la contiene
Da lettori, come si può reggere una prosa così? Soprattutto, come si può leggere un libro del genere senza vivere ogni pagina come una religione? Perché ogni pagina ti spalanca gli occhi sul mondo.
Sì, perché è del mondo che si parla in questo libro. Perché il confine non è tanto quello fisico tra New Mexico e México, non è tanto il confine di quelle imprese segnate dal destino che dividono per sempre le vite tra il prima e l’adesso, né tanto quello tra chi è Billy all’inizio e alla fine di questo viaggio. È il confine – sfumato, vago, nullo – tra il mondo e le storie, tra la tua storia e quella degli altri, tra tutte le storie e l’unica storia.
È il confine che ti porta oltre te stesso. È il confine tra quello che sei prima di leggere questo libro e quello che sei dopo.
Non guarderai più niente con gli stessi occhi.

La mia edizione di Oltre il confine.
Foto scattata nel dicembre 2023, in Sardegna, poco fuori dal mio paese.
La mia edizione di Oltre il confine.
Foto scattata nel dicembre 2023, in Sardegna, poco fuori dal mio paese.

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Come avevo già fatto per Cavalli selvaggi, anche in questo caso ho deciso di trascrivere una serie di passi che mi hanno colpito particolarmente e che credo risultino rappresentativi, almeno in parte, delle sensazioni che Oltre il confine trasmette. Dico ‘almeno in parte’ perché ne avrei voluti riportare molti di più, ma mi sono accorta che diversi passi, soprattutto quelli più mistici, esprimono tutto il loro potere solo all’interno del contesto in cui si trovano, e quindi ho preferito lasciarli fuori da questa rassegna.
Ho raccolto quelli trascritti sotto alcune parole chiave; le pagine si riferiscono all’edizione Einaudi 2014.

Atmosfere diurne

“[…] e osservava con occhi socchiusi l’ovest, dove il sole fremeva in un lago asciutto e rosso sotto le montagne spoglie e le antilopi si muovevano dondolando la testa tra il bestiame nella pianura.” (p. 7)

“Davanti a lui le montagne brillavano di luce bianca accecante. Sembravano appena create dalla mano di un dio imprevidente che forse non aveva neppure deciso a cosa sarebbero servite. Appena create in quel senso. Sentì il cuore scoppiargli in petto e il cavallo, giovane come il ragazzo, scrollò la testa, fece uno scarto verso il ciglio della strada e poi scalciò con uno degli zoccoli posteriori.” (p. 28)

“L’erba gialla vibrava al soffiare del vento e la luce del sole correva per la campagna davanti alle nuvole in movimento.” (p. 55)

“Ripartirono alla ricerca di ciò che avrebbe portato loro il nuovo giorno e un’ora dopo fermarono i cavalli sul fianco orientale della scarpata e rimasero a guardare il sole che saliva come un vetro incandescente dalla pianura di Chihuahua, a ricreare il mondo dalle tenebre.” (p. 163)

“Le nuvole si erano spostate e la giornata era limpida e quieta. Sulla pianura erbosa non c’era assolutamente niente.” (p. 219)

“[…] la polvere leggera sollevata dal branco era ancora sospesa nell’aria come un velo di polline estivo.” (p. 221)

“Doveva essere rimasto inginocchiato a lungo perché il cielo a est era diventato grigio e le stelle finalmente affondavano nel lago pallido fino a diventare cenere e gli uccelli incominciarono a chiamare dalla riva lontana e il mondo ancora una volta ricomparve.” (p. 284)

“I bassifondi contenevano acqua stagnante a perdita l’occhio, che la luce del tramonto faceva sembrare un lago di sangue. […] le cime delle Animas erano illuminate dall’ultimo sole del giorno, che colorava di rosso la neve sui picchi. Più a sud, in lontananza, si scorgevano le cordilleras pallide e antiche del Messico, che segnavano il confine ultimo del mondo visibile.” (p. 299)

“Fermò il cavallo sulla vecchia pista delle carovane che stava percorrendo e guardò verso le sierre a ovest, nere contro lo sfondo rosso sangue del cielo.” (p. 310)

“Sulla pianura lontana oltre il lago la polvere soffiava da Babìcora come se fosse stata incendiata.” (p. 323)

“Il sole rosso che brillava nell’ampia fenditura tra le montagne davanti a lui perdeva la sua forma e veniva lentamente risucchiato per illuminare tutto il cielo con un intenso alone rossastro.” (p. 333)

Atmosfere notturne

“Solo il fiato gli diceva da che parte tirava il vento e l’osservava apparire e svanire, apparire e svanire continuamente davanti a sé.” (p. 6)

“Le prime stelle spuntarono a sud, come appese all’intreccio di rami morti degli alberi lungo il fiume. La luce della luna che ancora non si era levata vibrava sulfurea a est della valle. Osservò la luce espandersi lungo i contorni della prateria deserta e la cupola bianca e grassa e membranosa della luna sollevarsi da terra.” (pp. 9-10)

“Le luci della cittadina sparse sulla prateria parevano nella vallata blu un serpente adorno di pietre preziose nel fresco della sera.” (p. 43)

“Le montagne verso sud erano nere contro il cielo viola. La neve sulle cime a nord così pallida. Come spazi lasciati per scrivere un messaggio.” (p. 43)

“Quando si svegliò di nuovo, la luna era ormai calata e il fuoco era quasi spento. Il freddo era pungente. Le stelle ferme al loro posto, come fori in una lanterna di latta.” (p. 71)

“Non c’era vento, eppure il piano immobile dell’acqua tremò nella luce biancastra come se qualcosa vi fosse passato sopra e una luna imperfetta tremò nell’acqua mossa, si piegò e si drizzò nuovamente e poi tutto tornò come prima.” (p. 140)

“[…] i pascoli verso sud, azzurri e silenziosi sotto la luna nascente, la staccionata che si perdeva nel buio sotto le montagne e l’ombra della staccionata che attraversava la campagna, illuminata dalla luna, simile a una sutura.” (p. 141)

“Si svegliò più volte nel corso della notte e a ogni risveglio Cassiopea si allontanava sempre più dalla stella polare e a ogni risveglio ciò che era stato era stato e nulla mai avrebbe potuto mutarlo.” (p. 142)

“Si stava scatenando un temporale verso sud, lì dove la strada finiva nel deserto e tutto intorno, sotto le nuvole, prevaleva un colore blu e le sottili strisce dei lampi che si susseguivano con insistenza, sulle montagne in lontananza, di un colore blu vivo, scoppiavano nel silenzio più assoluto, come un temporale in una campana di vetro.” (p. 155)

“Non c’erano suoni, tranne quello prodotto dal vento che soffiava sull’erba. La stella della sera era bassa all’orizzonte, rotonda e rossa come un sole al tramonto.” (p. 218)

“Il sole che scendeva sotto i banchi di nuvole aveva prosciugato la luce dorata, lasciando la terra tutta blu, fredda e silenziosa.” (p. 224)

“Con il buio apparve un diafano sciame di stelle. Non riusciva a immaginare a che cosa servissero, erano così tante.” (p. 239)

“Alla sua sinistra c’era la sagoma scura del cavallo, assicurato al terreno; sollevava la testa oltre l’orizzonte per origliare tra le costellazioni, poi si chinava e riprendeva a mangiare l’erba. Studiò quei mondi che disordinatamente stavano facendo la loro comparsa nella notte senza nome e cercò di parlare con Dio di suo fratello; poco dopo si addormentò.” (pp. 257-258)

“Si alzò e si incamminò verso il lago, con il serape sulle spalle, guardando le stelle. Il vento si era calmato e l’acqua era nera e immobile. Sembrava un pozzo di quell’altopiano desertico dentro il quale stavano sprofondando le stelle.” (p. 283)

“[…] si alzò e osservò le stelle invernali scivolare via nel buio, verso il nulla. […] spostò gli occhi nel punto in cui il vento agitava l’erba nella fredda notte stellata, come se fosse la terra stessa a muoversi, e disse a bassa voce prima di riaddormentarsi che l’unica cosa che sapeva di tutto ciò che si doveva sapere era che non vi sono certezze su niente.” (p. 302)

“Il rumore della pioggia che cadeva sulla terra rossa indurita della strada pareva quello di un branco di cavalli che in lontananza attraversava un ponte.” (p. 317)

“[…] la città svanì alle sue spalle e le stelle sciamarono nel cielo buio […]” (p. 326)

“Cavalli e cavaliere gettavano sul terreno un’ombra verticale blu prodotta dalla luce della luna. […] Un sole bianco si stava per levare. Abbeverò i cavalli in una ciénega erbosa da cui si slanciavano antichi pioppi in un paesaggio da fiaba, si avvolse nella coperta e si addormentò.” (p. 330)

Luna

“Sulle montagne splendeva, un po’ inclinata, una falce di luna, simile a un occhio mezzo chiuso per la rabbia.” (p. 103)

“La luna sottile, a forma di corno, era appoggiata sul dorso a occidente come un graal e la luminosa Venere le stava direttamente sopra, come una stella su una barca.” (p. 231)

“[…] e la luna si alzava cieca e bianca a est […]” (p. 280)

“Più a valle la luce madreperlacea della luna traspariva dai banchi di nuvole come se fosse una candela piantata su un teschio.” (p. 362)

Fuoco

“Il fuocherello guizzava nel vento e il nevischio sottile cadeva di traverso giù dal cielo nero e moriva con un sibilo tra le braci.” (p. 64)

“In quell’altopiano selvaggio rimase a lungo coricato al freddo e al buio ad ascoltare il vento e a guardare le ultime scintille del fuoco che si spegneva e le crepe rosse nei carboni di legna che si spezzavano lungo venature inattese. Come se dal legno che si consumava emergessero geometrie nascoste, il cui ordine poteva venire completamente rivelato soltanto, così va il mondo, nel buio e nella cenere.” (p. 112)

“Il vento soffiò per tutta la notte. Consumò il fuoco, consumò i carboni sul fuoco e il fil di ferro incandescente bruciò brevemente al buio della notte come l’armatura di un enorme cuore, poi s’annerì e il vento trasformò i carboni in cenere e soffiò via la cenere e pulì la terracotta su cui erano stati appoggiati i carboni e le ceneri fino a che, a eccezione del fil di ferro annerito, non rimase più alcuna traccia del falò e per tutta la notte passarono nel buio oggetti che non avevano una forma precisa, e tuttavia avevano una destinazione.” (p. 148)

“I pochi carboni ancora accesi sembravano segreti e improbabili. Come gli occhi di cose che si era voluto disturbare mentre sarebbe stato meglio lasciar in pace.” (p. 283)

“Le scintille che fuggivano verso la campagna si spegnevano e svanivano come un grido nell’oscurità.” (p. 323)

“Il fuoco nella bajada era poco più che un mucchio di carboni attizzati che, nascosti nel terreno, rompevano l’oscurità come una finestrella segreta aperta sul nocciolo infuocato della terra.” (p. 333)

Lupi/Lupa

“Correvano nella pianura tormentando le antilopi che si muovevano come fantasmi sulla neve disegnando cerchi; tutt’intorno si alzava una polvere bianca al chiaro di luna e il fiato degli animali saliva pallido come fumo nell’aria fredda, come se dentro di loro ardesse un fuoco; nel silenzio i lupi volteggiavano, si contorcevano e spiccavano balzi e parevano appartenere a un altro mondo.” (p. 6)

“Il lupo è fatto come è fatto il mondo. Non si può toccare il mondo. Non si può tenerlo in mano perché è fatto solo di respiro.” (p. 41)

“Rimase sveglio al freddo per tutta la notte. Di tanto in tanto si alzava, sistemava il fuoco e ogni volta lei lo osservava. Quando le fiamme si ravvivavano, gli occhi di lei si incendiavano come i lampioni di una porta su un altro mondo.” (p. 64)

“Ma quegli occhi non abbandonarono il ragazzo, né cessarono di brillare e quando la lupa abbassò la testa per bere, nell’acqua scura apparve un altro paio di occhi, come di un altro lupo appartenente al mondo del sottosuolo, nascosto in angoli segreti, perfino nelle finte pozze d’acqua come quella, perché la lupa fosse sempre rincuorata e mai del tutto abbandonata.” (p. 69)

“Lei lo guardò con quei suoi occhi gialli, che tradivano non disperazione, ma soltanto quell’insondabile, profonda solitudine che è l’impronta più tipica di questo mondo.” (pp. 90-91)

“Quando l’ultimo lupo si fu fatto avanti, formarono una mezzaluna, con gli occhi simili a torce allineate per illuminare il mondo […]” (p. 258)

Immagini mistiche

“Sembrava intento a definire la propria posizione nel mondo. Intento a definire con un arco o con una corda lo spazio tra il proprio essere e il mondo. Ammesso che un simile spazio esistesse. Ammesso che fosse conoscibile.” (p. 21)

“Vi sono imprese segnate dal destino che dividono per sempre le vite tra il prima e l’adesso.” (p. 111)

“Disse che il mondo poteva solo essere conosciuto per come esisteva nei cuori degli uomini. Perché per quanto sembrasse un luogo che conteneva degli uomini, in realtà era un luogo contenuto nei loro cuori e quindi per conoscerlo era lì che bisognava guardare […]” (p. 115)

“Le cose separate dalle loro storie non hanno senso. Sono semplici forme. Di una certa dimensione e di un certo colore. Di un certo peso. Quando ne abbiamo perso il significato, non hanno più neppure un nome. La storia, d’altro canto, non può mai venir separata dal luogo al quale appartiene, perché essa è quel luogo.” (p. 122)

“Perché questo mondo che ci pare una cosa fatta di pietra, vegetazione e sangue non è affatto una cosa ma è semplicemente una storia. E tutto ciò che esso contiene è una storia e ciascuna storia è la somma di tutte le storie minori, eppure queste sono la medesima storia e contengono in esse tutto il resto. […] la storia non ha dimora né luogo d’essere se non nel racconto, è lì che vive e dimora e quindi non possiamo mai aver finito di raccontare. Non c’è mai fine al raccontare.” (p. 123)

“Non è facile allontanarsi da Dio, capisci? Non è facile. Nel profondo di ogni uomo c’è la consapevolezza che qualcosa sa che egli esiste. Qualcosa sa, e quel qualcosa non lo si può sfuggire né eludere.” (p. 127)

“È ciò a cui aneliamo e che abbiamo timore di cercare ed è soltanto questo che ci può salvare.” (p. 131)

“Il compito del narratore non è facile, disse. Pare che sia obbligato a scegliere la storia che racconta tra le tante possibili. Ma naturalmente non è così. Al contrario, si tratta di derivarne tante dall’unica storia.” (p. 133)

“Alla fine, la strada di ciascuno è la strada di tutti. Non vi sono viaggi isolati perché non vi sono viandanti isolati. Tutti gli uomini sono uno e non vi è un’altra storia da raccontare.” (p. 135)

“Credo sia meglio studiare le cose più piccole. Poi quelle più grandi seguiranno. È nelle cose più piccole che si possono fare progressi. È lì che i propri sforzi si vedono ripagati. Forse è solo questione di atteggiamento.” (p. 202)

“È difficile anche per due fratelli viaggiare insieme in una spedizione come questa. La strada ha le proprie ragioni e non vi sono due viaggiatori che interpretino allo stesso modo quelle ragioni. Se effettivamente riescono mai a comprenderle. […] La forma della strada è la strada stessa. Non c’è altra strada che possegga quella forma, al di fuori di quella. E ogni viaggio iniziato su di essa verrà portato a termine. […]” (p. 202)

“Sia che la vita di un uomo fosse scritta da qualche parte in un libro, sia che prendesse forma giorno dopo giorno, era sempre quella, perché consisteva di una sola realtà, che era il fatto stesso di viverla.” (p. 331)

“La gente si preoccupa del futuro. Ma non c’è futuro. Ogni giorno è fatto dei giorni che l’hanno preceduto. Anche il mondo deve essere sorpreso per come ogni giorno si mettono le cose. Forse perfino Dio.” (p. 337)

“I nomi dei cerros e delle sierras e dei deserti esistono soltanto sulle carte geografiche. Diamo loro un nome per non perdere l’orientamento. Tuttavia, quei nomi li abbiamo coniati proprio perché avevamo perso l’orientamento. Non si può perdere il mondo. Siamo noi il mondo. Ed è perché questi nomi e queste coordinate sono frutto della nostra nominazione che non ci possono salvare.” (p. 338)

“Gli uomini sentono gran rispetto per i fatti della storia. Si potrebbe perfino dire che ciò che dà significato alle cose è unicamente la storia di cui queste sono state partecipi. Ma dov’è collocata quella storia?” (p. 352)

“[…] ultimadamente la verdad no puede quedar en ningùn otro lugar sino en el habla.” (p. 358)

“Disse che gli uomini non riescono a capire che i morti abbandonano non un mondo, ma nient’altro che l’immagine del mondo nel cuore degli uomini. Disse che non si può abbandonare il mondo, perché esso è eterno sotto ogni aspetto, così come lo sono tutte le cose in esso contenute.” (p. 360)

“Nosotros mismos somos nuestra propia jornada. Y por eso somos el tiempo tambièn. Somos lo mismo.” (p. 360)

Altre immagini

“[…] ed entrarono in Messico, nello stato di Sonora, per nulla diverso dalla regione che avevano appena lasciato, eppure totalmente alieno e inquietante.” (p. 65)

“Continuò a cavalcare e le alte montagne a sudovest non sembravano affatto più vicine alla fine della giornata, quasi fossero un’immagine impressa nella retina.” (p. 76)

“I rametti attorcigliati sul dorso del burro sembravano un arazzo di ossa.” (p. 89)

“Disse che le impronte della lupa venivano dal Messico. Disse che la lupa non sapeva nulla di confini. Il giovane don annuì, come per dire che era d’accordo, ma poi disse che importava poco ciò che la lupa sapeva o non sapeva e che se la lupa aveva attraversato quel confine era tanto peggio per lei, perché il confine continuava a esistere.” (p. 101)

“I coyote guaivano lungo le colline a sud e lanciavano richiami dalla sagoma blu della cordigliera, e le loro grida sembravano nascere dalla notte stessa.” (p. 107)

“Sulla parete occidentale della cupola i nidi delle golondrinas sembravano colpi di mortaio tra i paramenti sbiaditi dei santi.” (p. 129)

“[…] si vedevano due gru immobili, ancorate alla loro immagine riflessa, nell’ultima luce del giorno, come statue in un giardino abbandonato e spogliato di ogni altra cosa da qualche calamità.” (p. 147)

“[…] l’acqua ferma nei solchi splendeva nella luce della sera come una griglia metallica lucida che si allungava in lontananza. Come se i cancelli d’ingresso di un’antica impresa fossero caduti a terra oltre i pioppi, lungo la cunetta.” (p. 175)

“Lui si voltò leggermente e guardò il suo cavallo. Vedeva, piegate come un trittico scuro in un fermacarte di vetro, le forme di due uomini e una ragazza illuminate dalla luce fuggevole del fuoco nel centro nero dell’occhio dell’animale.” (pp. 178-179)

“La casa puzzava di umidità e di paglia vecchia e sull’intonaco gonfio e cadente le infiltrazioni d’acqua avevano disegnato ampie mappe color seppia che sembravano riprodurre antichi regni, antichi mondi.” (p. 194)

“Tre anatre scure, immobili, sulla calma di peltro dell’acqua.” (p. 234)

“Il cavallo avanzava a fatica, Billy afferrò la cavezza e prese a camminargli di fianco, parlandogli. Il cavallo, coperto da uno strato bianco di brina, risplendeva come una magia su quella pianura sempre più scura. Quando gli ebbe detto tutto quello che sapeva dire, cominciò a raccontargli delle storie. Gli raccontò storie in spagnolo che sua nonna gli raccontava da bambino e quando ebbe raccontato tutte le storie che ricordava, si mise a cantare.” (p. 239)

“Nella luce che usciva dalle finestre, i tronchi multicolore dell’alameda apparivano pallidi come ossa.” (p. 282)

“Le gru stavano migrando a sud e lui le osservò volare in formazioni lineari lungo invisibili corridoi, disegnati nel loro sangue da centinaia di migliaia di anni.” (p. 285)

“Le ombre, lì dove raggiungevano il fiume, sembravano una scrittura.” (p. 286)

“[…] e osservò il cielo profondo, ceruleo e teso che copriva il Messico intero, dove il mondo antico si aggrappava alle pietre e alle spore delle cose viventi e viveva nel sangue degli uomini.” (p. 287)

“Un giorno all’alba, fermò il cavallo a un incrocio per Buenaventura e osservò gli uccelli acquatici lasciare strisce sul fiume e sulle lagune isolate, le ali che si muovevano lentamente con l’alba rossa sullo sfondo.” (p. 288)

“Una volta in Arizona ho visto la pioggia cadere su una strada d’asfalto. Per un buon mezzo miglio piovve su un lato della striscia centrale, mentre dall’altra parte era asciuttissimo. La striscia bianca faceva da spartiacque. […] Una volta ho visto tuonare nel bel mezzo di una tempesta di neve […] Tuoni e lampi. I lampi non si vedevano, ma intorno tutto si illuminava, bianco come il cotone.” (p. 307)

“Aveva due occhi neri arrossati, cupi e vuoti, simili a scorie di piombo versate in un foro per isolare qualcosa di virulento e contagioso.” (p. 312)

“La sera sentì di nuovo il volo alto delle gru, sopra le nubi, in bilico sulla linea della curvatura terrestre. Con occhi metallici solcavano i sentieri che Dio aveva scelto per loro. Nei cuori il flusso delle maree.” (p. 338)

“Al di là degli alberi si vedeva il contorno limpido e piatto del fiume, simile a un coltello.” (p. 343)

“Il fiume dietro gli alberi sembrava metallo di fonderia.” (p. 365)

Se questo articolo ti è piaciuto e se ti interessano i classici della letteratura, puoi visitare la sezione del blog dedicata cliccando qui🙂

Se ti interessa leggere altro sulla Trilogia della frontiera, ho parlato del primo volume, Cavalli selvaggi, qui e qui. 😉

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