Scrivere zen è un libro tesoro

L’unico modo per parlare di un libro come Scrivere zen – un libro, cioè, che non ho difficoltà a definire un tesoro – è lasciare che sia lui a parlare: ho scelto così di condividerne in questo articolo due estratti che trovo particolarmente simbolici e illuminanti.
Natalie Goldberg esprime concetti su cui non si può fare a meno di tornare, e molto spesso – basti guardare al secondo estratto – le sue parole sono valide non solo per chi scrive, ma per tutti.

La mia edizione di Scrivere zen.
Foto scattata nell’autunno 2023.
La mia edizione di Scrivere zen.
Foto scattata nell’autunno 2023.

Dal capitolo Vivere due volte (pp. 60-61):

“Be’, intendiamoci: anche agli scrittori piace far quattrini; anche agli artisti, contrariamente a quanto di solito si ritiene, piace mangiare. È solo che i soldi non sono per loro la motivazione determinante. Personalmente, se ho tempo per scrivere mi sento ricchissima, mentre mi sento poverissima se ho uno stipendio regolare ma non ho tempo per il mio vero lavoro. Pensateci. Il datore di lavoro ci dà uno stipendio in cambio del nostro tempo. Il tempo è la merce di maggior valore che un essere umano abbia da offrire. Noi scambiamo il tempo della nostra vita con del denaro. Lo scrittore si ferma al primo passo – il proprio tempo – e gli attribuisce un valore prima ancora di ricevere in cambio del denaro. Lo scrittore tiene moltissimo al proprio tempo, e non ha tanta premura di venderlo. È come ereditare un terreno di famiglia. Quel terreno è sempre appartenuto alla famiglia, da tempo immemorabile. Viene qualcuno, e si offre di comprarlo. Lo scrittore, se è furbo, non ne venderà troppo. Sa bene che una volta venduto il terreno potrà anche comprarsi una seconda macchina, ma non avrà più un posto dove rifugiarsi, non avrà più un posto dove sognare.
Dunque non è un male essere un po’ sciocchi, se si vuole scrivere. Dentro di noi esiste una persona a cui non si può mettere fretta, una persona che ha bisogno di tempo e ci impedisce di darlo via tutto. Quella persona ha bisogno di un posto dove andare, e ci costringerà a fissare le pozzanghere sotto la pioggia, di solito senza cappello, e a sentire le gocce sulla testa.”

Dal capitolo Siate precisi (pp. 84-85):

“Una decina d’anni fa decisi che volevo imparare il nome delle piante e dei fiori che crescevano nei paraggi di casa mia. Mi comprai un manuale, e passeggiando per le strade alberate […] esaminavo le foglie, la corteccia e i semi confrontandoli con le descrizioni del libro. Acero, olmo, quercia, robinia. Spesso baravo, chiedendo a chi vedevo al lavoro nel proprio giardino il nome dei fiori e degli alberi che vi crescevano. Restai stupitissima nello scoprire quanto fossero pochi coloro che avevano una qualche idea del nome degli esseri viventi che abitavano nel loro fazzoletto di terra.
Quando conosciamo il nome di qualcosa, questo ci dà una maggiore concretezza. Elimina le nostre sfocature mentali; ci lega alla terra. Se camminando per la strada vedo una ‘sanguinella’ o una ‘forsythia’, mi sento più in armonia con l’ambiente. Mi sto accorgendo di quel che mi circonda, e so dargli un nome. Sono più vigile e attenta.
[…] Se diciamo ‘geranio’ anziché ‘fiore’, penetriamo più a fondo in ciò che è qui ed ora. Più riusciamo ad avvicinarci a quel che abbiamo davanti al naso, più gli permettiamo di insegnarci tutto quel che ci serve. […]
Imparate il nome di tutto: uccelli, formaggi, trattori, automobili, edifici. Lo scrittore è tutto: architetto, chef, agricoltore; e allo stesso tempo, lo scrittore non è niente di tutto questo.”

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