Indomabili onde di Paola Kovalsky

Cuba per me era una canzone pompata a mille nelle casse di uno stereo, tanto da non riuscire a restare ferma […], racconta Claudia nel capitolo 5 di Indomabili onde, usando un’immagine che rimane impressa, come molte altre che l’autrice, Paola Kovalsky, costruisce via via tra le pagine del suo romanzo d’esordio. 
Cuba assolata, del mare ruggente e ipnotico del Malecón, dei cieli auriferi e dei gabbiani garruli, delle macchine in corsa e delle feste di rum e sigari, vestita di colori e di musica, esotica e conturbante di stimoli, che riempie di vitalità e spinta emotiva, intensifica le emozioni, rende ebbri ed esausti.
Cuba che è anche e soprattutto terra ferita ma orgogliosa, resistente e coriacea oltre ogni misura. Cuba con il suo popolo dalla tempra indomabile.

La copertina del romanzo "Indomabili onde" di Paola Kovalsky.
Indomabili onde di Paola Kovalsky.

Perché è di questo che parla Indomabili onde. Di un popolo rivoluzionario, di una Rivoluzione che l’autrice decide di trasportare ai giorni nostri, rappresentandola e narrandola attraverso gli occhi di Claudia, giovane italiana che vedrà la sua vita cambiare dopo l’incontro con questi ideali, con questi grandi personaggi storici.

E del romanzo sono protagonisti, questi personaggi. La Kovalsky ce li racconta con attenzione, con sensibilità ma anche con naturalezza, come solo chi li ha studiati bene potrebbe fare.
Camilo Cienfuegos ed Ernesto Guevara, in particolare, sembra davvero di averli davanti.
Camilo, perennemente allegro e apparentemente felice, incantatore ed esperto ballerino, dalle espressioni complici e dallo sguardo fiero, e il cui sorriso, il cui buonumore rendono impossibile non volergli bene. Camilo che sa essere tenero, che sa innamorarsi e darsi all’amore, Camilo che vuole vivere a pieno le emozioni, spingersi verso la costa e tornare indietro, urlare di rabbia, inghiottire la vita e berla a pieni sorsi.
E poi Ernesto con quegli occhi scuri e magnetici, attenti ai dettagli come pochi o nessuno; occhi che poi diventano un pozzo di dolore, […] tristi, come sconsolati, pur condividendo il viso con la piega ferina della bocca, in grado di trasformare la sua espressione da afflitta a bellicosa. Ernesto con il suo carisma, la sua virile sessualità nei modi di fare, di parlare. Ernesto del quale la Kovalsky mette in luce non solo le spinte ideali, ma anche quel lato romantico, letterario, e quello più profondamente umano.

A Claudia, piena di entusiasmo innocente, questi personaggi incutono fascino e timore, mentre le loro ideologie e il loro carisma penetrano in lei e la stravolgono. Sì, perché questo è un libro che parla di ideologie, moralità, giustizia, consumismo, coscienza politica, diritti e libertà, ed è al tempo stesso un libro che trascina in un vortice di emozioni. Perché il fuoco della Rivoluzione si mischia ai tumulti interni dell’anima di Claudia, e perché la natura umana è imperfetta, carnale, contradditoria ed irrazionale. E allora c’è l’infatuazione, c’è l’amore, ci sono i sentimenti soffocati, le illusioni e le disillusioni, la nostalgia, il rimpianto, la rabbia e il dolore.
L’ultima sezione del romanzo è la più forte, la più dolorosa. Impossibile restare indifferenti, impossibile non farsi coinvolgere, impossibile non commuoversi. Si soffre e si piange insieme a quella scrittura che per tutto il romanzo sembra averci spinto per portarci fin lì, dove scorre ancora più forte, dove ci trascina come un fiume in piena verso indomabili onde di dolore, che si infrangono, nell’ultima pagina, sulle due meravigliose e pregnanti citazioni finali – Brecht e Pavese – messe lì come a suggello della storia e di quel dolore che sembrano imprimere e al tempo stesso accarezzare, rendendolo intimo e universale.

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