Il vecchio e il mare è un romanzo sulla dignità e sul valore della lotta

Vita e dignità. Vita è dignità. Credo si racchiuda qui, in queste due parole semplici e immense, il significato ultimo de Il vecchio e il mare, il lavoro forse più noto di Ernest Hemingway.

La mia edizione de Il vecchio e il mare.
Foto scattata nel dicembre 2023.

Il vecchio e il mare. Il vecchio, e il mare. Due parole semplici, ancora, nel titolo italiano che risulta quanto mai efficace, peraltro ricalcando quello inglese The old man and the sea, nel richiamare suggestioni e profondità di rara bellezza, concentrando in sé e comunicando d’impatto il carattere e la natura del libro. Perché una trama dalla semplicità disarmante – un vecchio pescatore che per alcuni giorni lotta in alto mare per riuscire a pescare e a portare a riva un grosso marlin – diventa, nella penna di Hemingway, libro di forme e sfumature abbinate a contrasto: malinconico e infiammato, colmo di forza e di dolcezza, carico di corporeità e profondamente spirituale – questo, tutto questo e tutto insieme, è Il vecchio e il mare.

È, soprattutto, inno alla vita e metafora della vita.

Inno alla vita – a quella umana, certo, ma non solo: ciò emerge dal modo in cui uomo e pesce sono posti sullo stesso piano nel contesto di uno scontro alla pari, che mette in luce il possesso di un’eguale dignità – la stessa dignità che è anche prerogativa di tutti gli altri animali (lo capiamo, ad esempio, dall’incontro con l’uccellino). In questo senso, l’uomo deve lottare come ognuno di loro, e la lotta di Santiago è la lotta del marlin ed è la lotta dell’uccellino e di qualsiasi altra creatura sul mare e sulla terra.
Derivano allora da qui, dall’impatto con questa consapevolezza, le sensazioni contrastanti che la lettura può suscitare: l’empatia per il pescatore quanto per il marlin; la tensione per la difficoltà di prevedere un finale; una speranza nebulosa, senza direzione, dovuta alle tendenze opposte che spingono a parteggiare per l’uno e insieme per l’altro, perché entrambi sono degni di rispetto, e perché la solitudine e la testardaggine del marlin sono le stesse del pescatore (e Santiago lo sa, e per questo la sua lotta è ancora più tragica); da un certo punto in poi la speranza, contro ogni razionalità, nella vittoria del vecchio; infine la frustrazione e l’impotenza, e forse anche la rabbia, non tanto perché quello del marlin è un sacrificio, quanto perché è un sacrifico vano, proprio come quell’eroismo, vano ma necessario, per il pescatore in un senso, per il marlin in un altro.

Metafora della vita – perché è la vita, nient’altro che la vita, che riconosciamo in quei quattro giorni di lotta di Santiago contro il marlin e contro i pescecani.
La vita come un avvicendarsi di sfide e difficoltà – quelle che ci troviamo ad affrontare ogni giorno nel nostro percorso – e la vita in toto, come unica grande meravigliosa lotta. È questa la metafora che istintivamente cogliamo tra le pagine, questa la metafora che emerge, trasparente e magnifica, in tutta la sua forza, nella prosa così scarna e semplice e al contempo potente di Hemingway. 
E se è vero che una lotta implica un esito di vittoria o di sconfitta, è anche vero – e questo è il messaggio più bello che Il vecchio e il mare trasmette – che il punto non è vincere, ma lottare. È proprio questo – lottare – che fa la differenza, perché anche quando la vita ha la meglio su di noi, anche quando le sue difficoltà e i suoi ostacoli ci schiacciano e ci buttano giù, quella dignità – la dignità che deriva dall’atto stesso di vivere, ricollegandoci al punto sopra – noi continuiamo a conservarla, e la affermiamo con la lotta. E se anche il nostro destino fosse quello di venire atterrati, se anche i pescecani fossero troppi, essersi messi in gioco e aver lottato a testa alta cambierà tutto. Ecco perché un uomo può essere distrutto ma non sconfitto.
Ed è qui, è questo il punto centrale: il valore della vita, il valore della lotta. La dignità della lotta. Ecco il leitmotiv di questo libro dove la lotta nella vita diventa lotta per la vita.
Perché la lotta di Santiago è lotta per la dignità. Il vecchio vuole uccidere il pesce e portarlo a riva per se stesso – solo per se stesso. Per confermare a se stesso il proprio valore, la propria dignità di persona, di quella vita così semplice eppure così complicata che ha vissuto e che è l’unica nella quale si riconosce: è in gioco la sua verità, e quindi, appunto, la sua dignità. Ecco il motivo per cui la sua parte razionale, realista e pessimista insieme, viene contraddetta e vinta da quella irrazionale, volitiva e ottimista – perché lui ha bisogno del suo riscatto. Ed è per questo che noi ci ritroviamo a perdonarlo per la caccia al marlin e a odiare i pescecani che hanno reso vano il sacrificio di quest’ultimo, anch’esso un combattente, anch’esso degno di rispetto, detentore di una dignità che, insieme a Santiago, avevamo riconosciuto da subito.

Ed Hemingway riafferma con forza tutto questo con la scelta di un finale che omaggia il pesce quanto l’uomo; di un finale che rimarca, insieme alla dignità di entrambi, il valore della lotta, sublimandolo nell’immagine di un uomo che continua a rialzarsi e a sognare, nonostante la vecchiaia, nonostante tutto; di un finale che lascia un messaggio di speranza e di fiducia per un nuovo inizio, con un’apertura emozionante e meravigliosa alla vita.

“Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che hai.”

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