Cinque cose belle a tema libri e scrittura del mio 2022

Eccole qui: cinque cose importanti, cinque cose belle a tema libri e scrittura che hanno caratterizzato il mio 2022 e che mi sembrano perfette da condividere sia come riflessione sull’anno appena trascorso sia come augurio di un buon anno nuovo. E allora via, cominciamo!

Io, il mio romanzo Mari Ermi e la spiaggia di Mari Ermi dietro di me nei colori del tramonto.

Mari Ermi.
Il lungo percorso di questa storia – nata nel 2016 e riscritta e corretta, tra una cosa e l’altra, fino al 2021 – è giunto a un traguardo e a un nuovo inizio quando, sempre nel 2021, ha incrociato la sua strada con quella di Edizioni Convalle, una casa editrice che ha visto nelle sue pagine tante cose e ha deciso di darle fiducia. Per Mari Ermi il 2022 è stato un anno intenso, pieno di sfide e di scoperte, dal percorso pre-pubblicazione all’avventura della promozione: piccoli grandi passi, tanta costanza, idee, colori, pazienza e fiducia per portare il libro ogni giorno più in là.
Impegno, fatica ed entusiasmo sono stati accompagnati da tanti riscontri e da grande affetto nei confronti della mia storia da parte dei miei lettori. Sono felice, soddisfatta, ma questo cammino è solo all’inizio. Ho tante cose in mente.

La scrittura.
Quest’anno sono riuscita finalmente a realizzare un obiettivo che inseguivo da tempo immemore: dare alla scrittura il giusto spazio nella mia quotidianità.
La difficoltà era sempre la stessa – l’impressione che altri impegni, altre incombenze (lavorative e non) fossero sempre più importanti, più concrete della necessità di scrivere, e da qui la tendenza a procrastinare, a rimandare giorno dopo giorno. Avevo capito da tempo quale fosse la soluzione: collocare la scrittura nella mia agenda giornaliera, darle un suo spazio, concreto e imprescindibile, nelle mie giornate. Per qualche ragione, però, non ero mai riuscita a mettere questa soluzione in pratica per periodi prolungati.
Senza motivi particolari, il 1° agosto di quest’anno è stato il momento spartiacque, quello in cui ho deciso seriamente di iniziare a scrivere tutti i giorni, fossero anche solo due righe. Da lì in poi non c’è stato giorno in cui non l’abbia fatto. Una piccola-grande soddisfazione, un impegno che sento come un piacere, e un’abitudine che mi sta aiutando a crescere e a migliorarmi sempre di più. Ne parlerò più diffusamente a gennaio.

Il mio romanzo Mari Ermi davanti all'albero di Natale.

I progetti.
Quest’anno ho intrapreso un percorso interiore che mi ha portato a lunghe riflessioni sul mio lavoro, sulle mie passioni, sui miei progetti e sui miei obiettivi legati ai libri e alla scrittura. Se il mondo dei libri è per me la cosa più importante, cos’altro posso fare, rispetto a quanto sto già facendo, per poter vivere questa realtà sempre di più, per poterle dare sempre più spazio nella mia vita? Ci ho pensato a lungo, e alla fine credo di aver trovato una risposta e di aver preso una decisione. Ne riparleremo presto.

Le fiere.
Il Salone del Libro di Torino a maggio e la Rassegna della Microeditoria di Chiari a novembre mi hanno dato tantissimo. Non ero mai stata a una fiera prima, e poter vivere entrambe al quadrato, come lettrice e come autrice, è stata un’emozione enorme. Ho parlato diffusamente di queste fiere in articoli dedicati, ma tenevo a ringraziare ancora una volta la Edizioni Convalle per questa possibilità e, naturalmente, Matteo per il sostegno incondizionato: è stato fondamentale in queste occasioni, come lo è sempre.

La prima edizione di Furore.
È il piccolo-grande regalo che mi sono portata a casa dal Salone del Libro: una prima edizione, prima stampa di uno dei grandi romanzi che amo di più al mondo. Un’emozione immensa il momento in cui è diventata mia; un’emozione tenerla tra le mani e sfogliarla. Anche a lei ho dedicato una riflessione e alcuni scatti, nell’intento di trasmettere i sentimenti di antichità e immortalità che il contatto con quelle pagine ingiallite e perenni mi sa donare. Sì, perché è questo l’effetto della grande letteratura.

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Di scrittura e disciplina

Quaderno, matita, candela accesa: uno dei momenti di scrittura che amo di più!
Quaderno, matita, candela accesa: uno dei momenti di scrittura che amo di più!

Per scrivere ci vuole disciplina.
Eccola qui la grande verità, il fatto incontrovertibile, il caposaldo innegabile di quest’arte e di tutte le arti del mondo.

Per scrivere ci vuole disciplina, e il motivo non è la costante mancanza di tempo nelle nostre giornate.
Certo, è vero che il tempo è un problema, ma spesso, diciamolo chiaramente, è anche una scusa. 
Il fatto è che la scrittura, purtroppo, non è solo un romantico prodotto dell’ispirazione. Io sono convinta che l’ispirazione esista – parleremo in seguito di cosa sia per me – e sono convinta che esista anche il talento, ma ciò non toglie che la scrittura, anche in presenza di queste doti, sia soprattutto una questione di disciplina. Ti ci devi mettere. E non è così facile.
Sapete perché non lo è?
Perché scrivere è anche, e soprattutto, fatica.
Sì, la scrittura è fatica, spesso persino sofferenza. È incessante interrogarsi della mente, è sudare sulla tastiera.
Mi sono accorta che non viene detto spesso, quindi lo ripeto: scrivere è faticoso.
Scrivere è un impegno. Scrivere richiede sforzo. Scrivere è difficile. Dannatamente difficile.
E, per questo, spesso ci inventiamo scuse per non farlo. Sì, è questo il motivo più profondo per cui fatichiamo a metterci davanti al foglio o allo schermo, per cui “c’è sempre qualcosa di più importante da fare, qualcosa di più urgente”. 
Ed è qui che entra in gioco la disciplina.
La disciplina è un’arma perché ti costringe a non rimandare, a metterti davanti al foglio senza se e senza ma; perché ti propone un obiettivo, perché trasforma pigrizia e reticenza in un momento cercato, atteso, indispensabile. In questo senso, è verissimo che la scrittura è come lo sport, e anzi, probabilmente non c’è paragone più azzeccato: è molto difficile iniziare, ma quando prendi il ritmo non puoi più farne a meno.

Queste cose le ho sempre sapute, le ho sperimentate periodicamente negli anni, ma solo nel 2022, complice la pubblicazione di Mari Ermi e l’intenzione di fare davvero sul serio, ho cominciato a lavorare come si deve sulla disciplina. In quali modi, ve lo racconto al prossimo appuntamento con questa rubrica.
…Non vedo l’ora!

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Dalla scrittura come disciplina alla scrittura come atto di libertà

I quaderni con cui sto riscoprendo la scrittura come atto di libertà. Quanto mi piacciono!
I quaderni con cui sto riscoprendo la scrittura come atto di libertà. Quanto mi piacciono!

Scrittura e disciplina, scrittura è disciplina. Ne parlavo il mese scorso, accennandovi a come nel 2022 io abbia iniziato a lavorare sul serio su questo fronte.
Oggi voglio raccontarvi la base del mio nuovo percorso, e comincio col dirvi che considero il 1° agosto la data spartiacque: dopo diverse riflessioni nelle settimane precedenti, quel giorno ho preso una decisione. Ero a casa mia in Sardegna, avevo con me un quaderno invitante e ancora intonso – è quello con le margherite in foto – e ho deciso che l’avrei iniziato allora, impegnandomi a scrivere qualcosa tutti i giorni, anche solo due righe, anche solo due cavolate senza capo né coda.
Ho cominciato così, nella penombra di una camera in un primo pomeriggio troppo caldo anche per andare al mare, e non ho più smesso. Con oggi sono sette mesi che scrivo ogni giorno – l’ho fatto anche in vacanza, anche nelle giornate più impegnative col lavoro – e sono ormai a metà del secondo quaderno. Ogni giorno so che, se anche non riuscirò a lavorare ai miei progetti di scrittura, comunque scriverò qualcosa lì sopra. Perché, sì, quel buon proposito – quell’impegno da rispettare – è diventato col tempo una necessità, un bisogno irrinunciabile.
E forse lo è anche per il modo in cui utilizzo questo quaderno.
Tra le sue pagine, infatti, io non scrivo storie, poesie o racconti. No. Una volta al giorno, in un momento qualsiasi, io lo apro, ci poggio la penna e scrivo la prima cosa che mi viene in mente. Spesso mi ritrovo a parlare di me, della mia giornata, di pensieri che rimugino, anche del tempo. A volte scrivo tre pagine, a volte solo mezza, ma è sempre incredibile ciò che viene fuori.
Ho cominciato con l’idea di acquisire la disciplina e la costanza e di fare più esercizio, e sì, ha funzionato, ma poi mi sono accorta di quanto mi sia utile anche per svuotare la mente e, soprattutto, per scrivere per il semplice gusto di farlo: senza pretese, senza stress, senza dover per forza produrre qualcosa di decente. Mi ha aiutato, insomma, a riscoprire la scrittura come atto di libertà, la scrittura come puro e semplice amore per la scrittura stessa, e a questo adesso non posso più rinunciare.

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Albe di scrittura

Albe di scrittura.

Fino a poco tempo fa sono stata una scrittrice notturna: mi piaceva l’idea di lasciare la scrittura alla sera, di archiviare le incombenze della giornata e buttare giù due parole con la mente sgombra. Il risultato, però, era deludente: quando arrivava il tanto sospirato momento di scrivere, la stanchezza aveva la meglio e non riuscivo a concentrarmi. Eppure, ostinata, non concepivo un altro modo. Comprendevo la necessità di ritagliare per la scrittura uno spazio reale, stabile, nella mia giornata, e quello era il mio tentativo di disciplina: provare a scrivere ogni sera, a volte riuscendoci, altre volte – la maggior parte – fallendo.
Quando finalmente ho capito che in quel modo non poteva proprio andare, ho pensato a un’inversione drastica di approccio. È così che ho iniziato ad alzarmi prima la mattina. E ho scoperto che mettermi al pc e scrivere appena sveglia è molto più facile di quanto avrei mai pensato. Non tanto perché a quell’ora la mente è più fresca, quanto perché, semplicemente, la giornata non è ancora iniziata, e davvero è più semplice – semplice, appunto – sentirmi tranquilla, mettere da parte i pensieri sugli impegni, sul lavoro, su tutto, proprio per la consapevolezza che tanto è ancora presto e che quei pensieri possono attendere. Non per niente il telefono giace lontano, capovolto.
Mi piace, poi, la sensazione di scrivere mentre il mondo attorno a me è ancora addormentato: il silenzio, il cielo scuro che inizia a schiarirsi, la candela accesa a farmi compagnia; i suoni croccanti del fuoco in inverno, il primo cinguettare degli uccellini e l’aria fresca attraverso la finestra aperta nella bella stagione.
In questo ho trovato la mia dimensione, in questa combinazione di disciplina e relax che favorisce il lavoro ai miei brani più impegnativi e ormai da qualche mese mi consente di dare alla scrittura un posto stabile nelle mie giornate. Anni fa, se mi avessero detto che mi sarei alzata presto per scrivere mi sarei fatta una grassa risata. Ora, però, ho imparato una lezione importante: quando qualcosa non funziona, è sempre utile cambiare prospettiva, provare a guardarla in un modo che mai avrei considerato prima.

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Di luci e ombre, stagioni e petricore

Uno scorcio della mia scrivania e del mio ambiente ideale di scrittura.
Uno scorcio della mia scrivania e del mio ambiente ideale di scrittura.

C’è un tipo di intimità che riguarda me, la mia scrittura e il mondo attorno. Che mette in relazione me e la mia scrittura con luci e ombre, ambienti, umori, stagioni. È un tipo di intimità che sento di vivere profondamente e che ho costante bisogno di esplorare, indagare, capire.

Ne fanno parte, anzitutto, due verità valide sempre, in qualsiasi periodo e momento dell’anno.
Non mi piace scrivere con la luce forte, con il sole in faccia, col chiasso, nella confusione.
Sono amica del buio, delle penombre, delle candele accese, del silenzio.

Ne fa parte, poi, il modo personalissimo che ogni stagione ha di conciliare la mia scrittura.
In autunno e in inverno è il pomeriggio, ammorbidito del calore di un plaid e di un tè, a custodire una tranquillità pregnante di carta e penna.
In primavera l’ispirazione sembra in mano alle mattine, così colme di spontanea energia, così vivaci a far guizzare le parole insieme alla nuova carica, placida e radiosa, della natura.
In estate mi piace attendere la sera, quando il sole è calato e la finestra aperta sulla brezza, e amo soprattutto quelle notti, lente e un po’ misteriose, piene di pace, di stelle e di canti di cicale.

Su tutto, però, vince sempre la pioggia.
La pioggia è in grado di evocare in me l’ispirazione come nient’altro al mondo. Con lei io posso scrivere in qualunque momento, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Con lei prendere penna e quaderno è necessità vitale.
Amo le finestre aperte su piogge silenziose e costanti, adoro le gocce di rovesci che picchiano sui vetri chiusi, vado matta per i temporali estivi – il cielo che si riempie di nuvole grigie, la carica emozionale dei tuoni e dell’acqua in arrivo – quanto per i risvegli in cui il mattino mi pervade di brioso petricore. È una cosa straordinaria, il petricore, un semplice odore che riesce a infondermi un senso di rinascita e di pace col mondo, di freschezza e di quieta vitalità: per questo, credo, desta in me una necessità di scrivere preziosa, pura, impagabile.

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Resina

Un pino, i suoi rami e il suo verde.

Il lavoro di Elena Cangiamila nel suo Chi ha paura della pagina bianca mi è sempre piaciuto. Lo seguivo già da un bel po’ quando, nel maggio dell’anno scorso, Elena ha lanciato l’idea di un gruppo di scrittura estivo: due esercizi e due incontri online al mese, con lo scopo primario di non adagiarsi nella stagione calda.
Il lancio di questa iniziativa ha coinciso col momento in cui, complice la pubblicazione di Mari Ermi e l’inizio di una nuova fase nel mio percorso con la scrittura, sentivo il bisogno di lavorare sul serio sulla disciplina. Insomma, Resina è arrivato al momento giusto e mi sono buttata!

Vi chiederete perché ve ne sto parlando. Beh, perché Resina alla fine non è stato solo un gruppo di scrittura estivo. Resina è stata un’esperienza talmente bella che molti di noi hanno chiesto a Elena di continuare in autunno e in inverno, e poi ancora, di nuovo, in primavera.
Tre giorni fa ho realizzato che dalla mia iscrizione a Resina è passato un anno e che non avevo mai parlato qui di questa esperienza. Che dire, non ci ho pensato due volte a mettere da parte l’argomento a cui all’inizio intendevo dedicare la rubrica di maggio: un anno è un anno, e quale migliore occasione per ringraziare Elena e tutte le persone che hanno reso e continuano a rendere questa avventura così bella?! Così formativa, divertente, piacevole.

E allora grazie a Elena, per gli esercizi così stimolanti – spesso vere e proprie sfide che mi hanno costretta a mettermi in gioco, a cimentarmi coi miei limiti – e naturalmente per la pazienza e per le analisi ricche di consigli utili.
E grazie a tutti voi che avete reso e continuate a rendere questa un’esperienza unica, perché la cifra di Resina è proprio la condivisione e il confronto con gli altri. È rendersi conto di quante cose diverse possano venir fuori dalla stessa consegna. Imparare a conoscere, piano piano, lo stile di ognuno e osservarne l’evoluzione. Veder nascere storie e personaggi. Apprendere dai propri errori e dagli errori dei compagni. Scambiarsi pareri e consigli sul gruppo. Accorgersi, soprattutto, della nascita di rapporti veri, vere e proprie amicizie.
Grazie, ragazzi. Vi voglio bene!

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Sulla necessità di staccare

Sembra scontato, ma di recente mi sono accorta che non lo è affatto: ci sono momenti in cui staccare dalla scrittura è necessario. Staccare completamente, intendo. Non staccare per un giorno o due (poi, certo, anche questo serve), ma per periodi interi, periodi prolungati.
Mi è capitato da poco, e voglio raccontarvelo.

Quaderni, penna, candela: che bello scrivere!
Quaderni, penna, candela: che bello scrivere!

Da settembre 2022 a maggio 2023 ho lavorato molto, davvero molto: impegnandomi a trovare una continuità che prima non avevo mai avuto, ho scritto poesie, articoli e racconti; ho editato, soprattutto, materiale in arretrato da tanto tempo. Poi, però, sono arrivata a giugno stanca. Stanca stanca. Me ne accorgevo quando mi dedicavo all’editing, soprattutto: tempo spropositato per risolvere cose semplici, parti di brani e di poesie che non riuscivo proprio a districare, senso di frustrazione ricorrente.
Quando ho iniziato a staccare, non l’ho fatto consapevolmente. Non mi sono detta: “Basta, stacco!”. Anzi, per un periodo mi sono pure intestardita. Poi, complici le due settimane in Normandia e Bretagna e il mese trascorso a casa, in Sardegna, è successo che ho staccato e basta. Così, semplicemente. Come dicevo, non l’ho deciso, ma da un giorno all’altro mi sono accorta che avevo smesso di lavorare: continuavo a dedicarmi solo alla scrittura libera, annotando pensieri e parole per lo più davanti al mare, ma senza andare oltre.

Ho smesso di lavorare per più di un mese e, quando ho ricominciato a settembre, quello che è successo mi ha sbalordita. Al momento, infatti, questo è stato il periodo più prolifico dell’anno, e non tanto per le ore dedicate alla scrittura (comunque molte: tre al giorno tutti i giorni), quanto per i risultati: le parole che vanno a posto quasi da sole, i pensieri che scorrono, gli incastri giusti in poco tempo e quelle giornate, sì, quelle giornate in cui ho chiuso la sessione con un rarissimo senso di soddisfazione (è incredibile, ma è successo davvero!). Non so quanto ancora durerà questa tendenza, ma ve l’ho raccontato per dirvi questo: quando siete stanchi, prendetevi una pausa. Quando ne avete bisogno, fermatevi. Staccate, senza sensi di colpa, anche per lunghi periodi. Perché serve. Eccome se serve!

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Scrivere zen è un libro tesoro

L’unico modo per parlare di un libro come Scrivere zen – un libro, cioè, che non ho difficoltà a definire un tesoro – è lasciare che sia lui a parlare: ho scelto così di condividerne in questo articolo due estratti che trovo particolarmente simbolici e illuminanti.
Natalie Goldberg esprime concetti su cui non si può fare a meno di tornare, e molto spesso – basti guardare al secondo estratto – le sue parole sono valide non solo per chi scrive, ma per tutti.

La mia edizione di Scrivere zen.
Foto scattata nell’autunno 2023.
La mia edizione di Scrivere zen.
Foto scattata nell’autunno 2023.

Dal capitolo Vivere due volte (pp. 60-61):

“Be’, intendiamoci: anche agli scrittori piace far quattrini; anche agli artisti, contrariamente a quanto di solito si ritiene, piace mangiare. È solo che i soldi non sono per loro la motivazione determinante. Personalmente, se ho tempo per scrivere mi sento ricchissima, mentre mi sento poverissima se ho uno stipendio regolare ma non ho tempo per il mio vero lavoro. Pensateci. Il datore di lavoro ci dà uno stipendio in cambio del nostro tempo. Il tempo è la merce di maggior valore che un essere umano abbia da offrire. Noi scambiamo il tempo della nostra vita con del denaro. Lo scrittore si ferma al primo passo – il proprio tempo – e gli attribuisce un valore prima ancora di ricevere in cambio del denaro. Lo scrittore tiene moltissimo al proprio tempo, e non ha tanta premura di venderlo. È come ereditare un terreno di famiglia. Quel terreno è sempre appartenuto alla famiglia, da tempo immemorabile. Viene qualcuno, e si offre di comprarlo. Lo scrittore, se è furbo, non ne venderà troppo. Sa bene che una volta venduto il terreno potrà anche comprarsi una seconda macchina, ma non avrà più un posto dove rifugiarsi, non avrà più un posto dove sognare.
Dunque non è un male essere un po’ sciocchi, se si vuole scrivere. Dentro di noi esiste una persona a cui non si può mettere fretta, una persona che ha bisogno di tempo e ci impedisce di darlo via tutto. Quella persona ha bisogno di un posto dove andare, e ci costringerà a fissare le pozzanghere sotto la pioggia, di solito senza cappello, e a sentire le gocce sulla testa.”

Dal capitolo Siate precisi (pp. 84-85):

“Una decina d’anni fa decisi che volevo imparare il nome delle piante e dei fiori che crescevano nei paraggi di casa mia. Mi comprai un manuale, e passeggiando per le strade alberate […] esaminavo le foglie, la corteccia e i semi confrontandoli con le descrizioni del libro. Acero, olmo, quercia, robinia. Spesso baravo, chiedendo a chi vedevo al lavoro nel proprio giardino il nome dei fiori e degli alberi che vi crescevano. Restai stupitissima nello scoprire quanto fossero pochi coloro che avevano una qualche idea del nome degli esseri viventi che abitavano nel loro fazzoletto di terra.
Quando conosciamo il nome di qualcosa, questo ci dà una maggiore concretezza. Elimina le nostre sfocature mentali; ci lega alla terra. Se camminando per la strada vedo una ‘sanguinella’ o una ‘forsythia’, mi sento più in armonia con l’ambiente. Mi sto accorgendo di quel che mi circonda, e so dargli un nome. Sono più vigile e attenta.
[…] Se diciamo ‘geranio’ anziché ‘fiore’, penetriamo più a fondo in ciò che è qui ed ora. Più riusciamo ad avvicinarci a quel che abbiamo davanti al naso, più gli permettiamo di insegnarci tutto quel che ci serve. […]
Imparate il nome di tutto: uccelli, formaggi, trattori, automobili, edifici. Lo scrittore è tutto: architetto, chef, agricoltore; e allo stesso tempo, lo scrittore non è niente di tutto questo.”

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L’amore tracimante per la scrittura, per la vita e per una Parigi che è un pezzo di giovinezza in Festa mobile di Hemingway

La mia edizione di Festa mobile.
Foto scattata nel novembre 2023.
La mia edizione di Festa mobile.
Foto scattata nel novembre 2023.

È la Parigi dei piccoli caffè, di legna per l’inverno e di bucce di mandarini sul fuoco del camino mentre rifletti su un nuovo racconto. È la Parigi che ospita in una via fredda e spazzata dal vento la libreria più simpatica, calda e accogliente del mondo, dove la proprietaria ti presta i libri perché tu non hai soldi per comprarli. È la Parigi delle passeggiate solitarie e piene di leggerezza al termine di sessioni produttive di scrittura. È la Parigi che ti offre nei grandi giardini rifugi stimolanti; la Parigi dove sei triste quando il parco è chiuso e sbarrato e devi girargli intorno invece di attraversarlo mentre torni a casa. È la Parigi dei whisky e dei caffè crème, di pugilato e corse di cavalli e scommesse; la Parigi di pittori e pescatori, delle bancarelle di libri sulla Senna in cui trovi nuove uscite a pochissimo prezzo. È la Parigi dove con tutti quegli alberi, anche quando spogli, non puoi mai sentirti solo; la Parigi dove la primavera arriva lenta ma nitida, e quando sembra stentare finisce che una notte di vento caldo la porta all’improvviso in una sola mattina; la Parigi dove allora, quando arriva la primavera, non vi sono problemi eccetto dove andare per sentirsi più felici, e questo è quasi commovente.
È la Parigi dove non puoi scrivere di Parigi – Parigi, no, non la conosci ancora abbastanza bene – ma in giornate selvagge, fredde e ventose riesci a scrivere del Michigan con una semplicità che ti riscalda.
È questa la tua Parigi, la Parigi della scrittura, questa dove insegui il tuo sogno. Questa dove Gertrude Stein ti ospita nel suo salotto, dove Ezra Pound ti coinvolge in progetti altruisti; questa dove frequenti e conforti Scott Fitzgerald, l’amico che più di tutti, indiscutibilmente, sembrerà uscire dalle pagine delle tue memorie con la sua sensibilità, le sue ansie, le sue passioni e le sue dipendenze, in un ritratto toccante perché umanissimo. Perché, sì, di queste persone scriverai in futuro con una noncuranza affettuosa in grado di colpire come una bomba chi ti leggerà.
Perché ci scriverai, di questa tua Parigi. Ci scriverai di questa Parigi in cui, nonostante i racconti continuino a tornarti indietro, riconosci già in te una fede assoluta e una consapevolezza profonda rispetto alla scrittura; di questa Parigi in cui devi far quadrare i conti, in cui certe strade le eviti perché non puoi permetterti di farti venire fame, ma in cui la verità è che tu e Hadley, la tua amata moglie Hadley, l’eroina di queste storie, vi sentite invulnerabili – la verità è che non potreste essere più felici di così.

*

La Parigi di Hemingway è intima, avvolgente e intensa come queste pagine sono vivide, nostalgiche, autentiche, fluttuanti. Festa mobile è un libro pieno di vita e di malinconia insieme. Tracimante di amore per l’arte, per la scrittura, per un luogo che è un pezzo di giovinezza. Tracimante di voglia di vivere, e di amare, e di scrivere. È un’auto-incursione intima, dolce, in qualche modo sconvolgente. Un documento imperfetto ma ineguagliabile di un pezzo di vita. Un tributo puro e autentico all’importanza della memoria, che all’ultima pagina mi ha travolto in tutta la sua portata, e mi ha commossa nel profondo.

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