La ricerca di un posto nel mondo da parte del giovane John Grady Cole, il suo viaggio a cavallo dal Texas al Messico, le esperienze con l’amicizia, la cattiveria, l’amore, l’ingiustizia, l’arroganza dei potenti, il dolore: Cavalli selvaggi è un vero e proprio romanzo di formazione, ma le atmosfere e le ambientazioni tutte western gli conferiscono un respiro raro, arcano, e il risultato è maestoso.
È un viaggio per le strade dello spazio e del tempo, è la ricerca di se stessi nella ricerca di un passato mitico, è il contatto con la propria identità nel contatto con la natura aspra e solitaria, sperduta e bellissima, onnipresente e selvaggia.
E selvaggio è anche il fascino di questo romanzo: una visione cupa, spesso desolata, del genere umano accordata a descrizioni di un lirismo intenso, a paesaggi che sembrano di mondi primordiali, a immagini di poesia pura.
C’è un mistero potente che sembra pervadere ogni pagina, un mistero che non riuscivo e non volevo sondare ma che ha coinvolto ogni fibra di me: è lo stesso mistero che mi è rimasto addosso nelle vesti di un’emozione confusa, stupefatta, di una commozione inafferrabile e profonda.
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Credo che in casi come questi risulti utile e necessario lasciar parlare direttamente il libro. Ecco perché ho deciso di trascrivere una serie di passi che mi hanno colpito particolarmente e che credo risultino rappresentativi delle sensazioni che Cavalli selvaggi è in grado di trasmettere. Si tratta di passi che ho sottolineato, letto e riletto più volte, e mi piace l’idea di averli anche qui sul blog, di poterli ritrovare in qualsiasi momento.
Li raccolgo sotto alcune parole chiave; le pagine si riferiscono all’edizione Einaudi 2014.
Atmosfere
“Era l’ora che preferiva da sempre, l’ora delle ombre lunghe, quando nella luce rosata e obliqua l’antica strada prendeva forma davanti ai suoi occhi come un sogno del passato nel quale i cavalli dipinti e i cavalieri di quel popolo perduto, con le facce istoriate […] Quando soffiava il vento da nord si sentivano gli indiani, i cavalli, il fiato dei cavalli, gli zoccoli foderati di cuoio, il tintinnio delle lance e il perpetuo frusciare dei travois trascinati sulla sabbia […] I guerrieri, invece, fra rumori di asce e lance da età della pietra prive ormai d’ogni efficacia, avrebbero proseguito nell’oscurità destinata a inghiottirli, cantando sommessamente alla maniera degli avi e spingendosi speranzosi a sud nelle pianure che portavano al Messico.” (pp. 7-8)
“Nella notte fredda e chiara le rosse scintille del fuoco si perdevano fra le stelle.” (p. 12)
“Sdraiato sotto la coperta, John Grady contemplava il quarto di luna reclinato sulla cresta delle montagne. In quella falsa alba blu le Pleiadi sembravano levarsi nell’oscurità sopra il mondo trascinando con sé tutte le stelle, mentre il gran diamante di Orione, Cepella e il marchio di Cassiopea sembravano una rete da pesca gettata nel buio fosforescente. Rimase là a lungo ad ascoltare il respiro degli altri che dormivano e a contemplare la natura selvaggia fuori e dentro di sé.” (p. 59)
“John Grady rimase a guardare il firmamento srotolarsi dalle scure palizzate delle montagne che sorgevano a oriente. Il villaggio era buio pesto. Non un cane abbaiava. […] L’orsa maggiore al confine settentrionale del mondo ruotò e la notte parve non passare più.” (p. 80)
“Grandi pascoli verdi si estendevano a perdita d’occhio nella densa bruma violetta della sera e a occidente piccoli stormi di uccelli acquatici, come branchi di pesci in un mare infuocato, migravano a settentrione sullo sfondo delle gallerie rosse scavate nelle nuvole dalla luce del tramonto. Nella pianura più vicina videro alcuni vaqueros spingere avanti il bestiame attraverso un velo di polvere d’oro.” (p. 91)
“Di notte s’accampavano sulle alture dove il fuoco agitato dal vento saettava nel buio […]” (p. 110)
“Distesero le coperte e John Grady si tolse gli stivali, li mise accanto a sé e si sdraiò vicino alla brace. Guardò le stelle e l’ardente cintura di materia che correva lungo la nera volta celeste. Poi allungò le braccia lungo i fianchi e premendo le mani contro la terra si lasciò girare lentamente nelle tenebre di quella cupola gelida e ardente, sentendosi al centro del mondo teso e tremante che si muoveva enorme e vivo sotto le sue mani.” (pp. 118-119)
“[…] vero il cavallo, vera l’amazzone, vero il cielo e vera la terra, eppure tutto era un sogno.” (p. 131)
“Sulla mesa videro un temporale arrivare da nord e all’imbrunire la luce divenne spettrale. I verdi occhi scuri dei laghetti incastonati nella savana deserta sembravano squarci aperti su un altro universo. A ponente le nuvole gonfie di pioggia lasciavano filtrare lame di luce sanguigna che a un tratto avvolsero il paesaggio in un’aura violetta.
Sedettero sulla terra vibrante a causa dei tuoni e alimentarono il fuoco coi resti di un vecchio steccato. Stormi d’uccelli provenienti dalla campagna sbucavano dalla semioscurità sfiorando il bordo della mesa e i lampi saettavano all’orizzonte come infuocate radici di mandragola.” (pp. 136-137)
“Allora lei gli raccontava le storie della famiglia paterna e del Messico mentre le stelle cadevano a centinaia e le luci della valle sembravano muoversi come se il mondo girasse intorno a un altro centro. […] Era così bianca nell’oscurità che sembrava ardere. Come un fuoco fatuo in una foresta buia. Che ardeva freddo. Ardeva freddo come la luna.” (p. 140)
“Viaggiò tutta la notte e al primo chiarore dell’alba, in groppa al cavallo stremato, s’inerpicò su un’altura al di sotto della quale scorse il villaggio, il chiarore giallino della prime finestre illuminate, le case dai vecchi muri di fango e gli esili fili di fumo che si levavano verticalmente nell’alba senza vento perdendosi nell’oscurità. L’aria era così immobile che il villaggio sembrava appeso a quei fili.” (p. 257)
“Poi venne buio pesto e il deserto piombò nell’immobilità e nel silenzio. Si sentiva solo il respiro dei cavalli e il rumore degli zoccoli sulla terra. John Grady puntò il cavallo sulla stella polare e proseguì la marcia mentre la luna sorgeva a levante i coyote ululavano rispondendosi lungo tutta la piana.” (p. 284)
Luna
“E insieme s’erano avviati sulla strada della ciénaga alla luce della luna che brillava a ponente come un panno bianco steso ad asciugare fra gli ululati dei cani.” (pp. 139-140)
“La luna appena sorta danzava sui fili della luce come una nota musicale argentata accesa nell’oscurità senza fine.” (p. 220)
“La luna risplendeva a ponente mentre lunghe nuvole piatte le scorrevano davanti come una flotta fantasma.” (p. 296)
Sole, confini, orizzonti
“Buio, freddo, non un filo di vento e un sottile chiarore che cominciava a spuntare lungo il confine orientale del mondo.” (p. 5)
“L’ultima luce del giorno inondò la pianura alle spalle del cavaliere e si ritirò nuovamente lungo i confini del mondo nella fresca ombra azzurrina del crepuscolo sempre più freddo, fra gli ultimi cinguettii degli uccelli rintanati nell’oscuro groviglio dei rovi.” (p. 8)
“A ponente la campagna si estendeva a perdita d’occhio in un gioco di luci e di ombre e in lontananza, a più di cento miglia, le nubi nere dei temporali estivi incombevano sulle cordigliere che si levavano e sparivano nella foschia tremolando incerte all’estremo limite dell’orizzonte visivo.” (p. 225)
“A ovest il sole calante spuntò dalle nere nubi sui monti e arrossò una stretta striscia di cielo che sembrava un filo di sangue nell’acqua.” (p. 283)
Libertà
“Cavalcò con la faccia ramata dal sole nel vento rosso che soffiava da ovest.” (p. 8)
“Le luci scomparvero alle loro spalle. S’inoltrarono nella prateria mettendo le bestie al passo sotto il cielo nero trapunto di stelle. Da qualche parte nella notte vuota i rintocchi di una campana risuonarono e si spensero lontano dove campane non ce n’erano. Sulla superficie ricurva della terra buia e senza luce che sosteneva le loro figure e le innalzava contro il cielo stellato, i due giovani sembravano cavalcare non sotto ma in mezzo alle stelle, temerari e circospetti al contempo come ladri appena entrati in quel buio elettrico, come ladruncoli in un frutteto lucente, scarsamente protetti contro il freddo e i diecimila mondi da scegliere che avevano davanti a sé.” (p. 31)
Treno, automobile
“Fischiando e sbuffando in lontananza, il treno sbucò da est come un irriverente satellite del sole che stava per nascere. Il lungo fascio dell’unico faro esplorava l’intrico dei cespugli di mesquite, faceva emergere nella notte lo steccato diritto e senza fine che costeggiava i binari e di nuovo risucchiava nel buio miglia e miglia di fili e paletti lasciandosi dietro il frastuono insistente e il fumo della caldaia a vapore che si sfrangiava lento nell’incerto chiarore del nuovo giorno.” (p. 6)
“La polvere sollevata dall’auto aleggiava davanti a loro a perdita d’occhio, vorticando lentamente al chiarore delle stelle come le spire di una creatura enorme che emergeva dalla terra.” (p. 124)
“Il treno arrivò sbuffando e si fermò ansimante con i finestrini illuminati dei vagoni che si perdevano lungo il binario ricurvo come grandi tessere di domino accese nel buio.” (p. 254)
Cavalli
“Ciò che amava nei cavalli era la stessa cosa che amava negli uomini, il sangue e il calore del sangue che li animava. Tutta la sua stima, la sua simpatia, le sue propensioni andavano ai cuori ardenti. Così era e sempre sarebbe stato.” (p. 8)
“Il ragazzo, che cavalcava poco più avanti, stava in sella come ci fosse nato, e infatti era così, ma dava l’impressione che, se fosse nato in uno strano paese privo di cavalli, avrebbe saputo scovarli ugualmente. Perché il mondo fosse a posto o perché lui fosse a posto nel mondo, si sarebbe accorto che mancava qualcosa e sarebbe andato in giro continuamente e dovunque finché non si fosse imbattuto in un cavallo, e allora avrebbe capito subito che il cavallo era e sarebbe sempre stato quel che cercava.” (pp. 24-25)
“Nel sogno lui correva in mezzo ai cavalli inseguendo le giumente e le puledre che risplendevano al sole nei loro fulgidi manti bai e castani. I puledri correvano insieme alle madri e calpestavano i fiori sollevando una nebbia di polline che aleggiava nell’aria come polvere d’oro. Lui correva sugli altopiani insieme ai cavalli che facevano rimbombare il terreno sotto gli zoccoli, e fluivano liberi con la criniera al vento e la coda spumeggiante. Lassù non c’era nient’altro e i cavalli si muovevano in armonia come fossero guidati da una musica. I puledri e le giumente non avevano alcuna paura e correvano immersi nell’armonia universale che è il mondo stesso e che non si può descrivere, solo esaltare.” (pp. 161-162)
“Sentendo il respiro lento e regolare del cavallo di Blevins scaldargli la pancia e bagnargli la camicia, John Grady si accorse che stava respirando con lo stesso ritmo, come se una parte del cavallo respirasse dentro di lui, e pian piano entrò con la bestia in un’intimità ancor più profonda e priva di un nome.” (p. 265)
Finale
“Nelle raffiche di polvere sanguigna vomitata dal sole spronò il cavallo e riprese a marciare col viso ramato dagli ultimi raggi di luce, mentre il vento rosso dell’ovest spazzava il paesaggio crepuscolare e gli uccelli del deserto svolazzavano cinguettando fra le felci secche, e il cavallo, il cavaliere e il secondo cavallo passarono, e passarono le loro ombre affiancate come l’ombra di un unico essere. Passarono e impallidirono sulla terra sempre più buia, sul mondo a venire.” (p. 299)
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Di Cavalli selvaggi ho parlato anche qui. 😉