Orbital di Samantha Harvey ci ricorda che la Terra è la risposta a tutte le domande

La mia edizione di Orbital.
Foto scattata nel settembre 2025.
La mia edizione di Orbital.
Foto scattata nel settembre 2025.

Orbital non è una lettura semplice. Scivolare in silenzio attraverso i fusi orari sulla stazione spaziale mentre scivoliamo attraverso sei sguardi – quelli di quattro astronauti e di due cosmonauti – richiede una dose di concentrazione non indifferente, perché si lega alla disponibilità a dedicare al libro un tempo assoluto, totale, che consenta un’immersione completa.
Non perché Orbital contenga particolari riflessioni o innovazioni concettuali, ma per il cambio di prospettiva in cui ci proietta; perché, se si riesce a entrare nel libro, la sensazione è davvero quella di orbitare sedici volte attorno alla Terra nel giro di ventiquattro ore. E il punto – la cosa che ci assorbe, ci fagocita e ci sconvolge – è proprio questo: non il fatto di avere tra le mani qualcosa di nuovo o di diverso, ma il fatto di avere quello che sappiamo – semplicemente tutto quello che sappiamo – condensato lì, davanti a noi.

Non per niente, i pensieri che si hanno in orbita sono così grandiosi e così vecchi. E sono anche meno numerosi e più nitidi, come campane lontane che suonano una alla volta nella testa.
E d’altronde, come potrebbe essere altrimenti? Sei qui che giri attorno alla Terra, giri e rigiri, sedici volte in ventiquattro ore, giri mentre lo spazio fa a pezzi il tempo, mentre la tua idea di casa implode, mentre sei diviso tra il non voler essere qui e il volerci essere sempre – qui, a un passo dallo spazio che ti ha lasciato avvicinare al pulsare tremante del suo selvatico esotismo; qui, tra la Luna, la cui vista dalla stazione spaziale è tutto, e le stelle che spuntano come bucaneve; qui, soprattutto, di fronte alla tua Terra, quella Terra che appare fluida, morbida, quella Terra di cui ci si innamora ogni volta: quando è illuminata e sembra respirare, come un animale, mentre mostra tutta la sua semplicità di terra e mare senza esseri umani, e allo stesso modo quando, nell’eccesso luminoso della notte, sembra proclamare all’abisso che lì c’è qualcuno (perché, in un rovesciamento completo di prospettive, l’umanità dallo spazio è una creatura che esce solo di notte).
E tu sei qui, sei qui che giri di fronte a questo spettacolo e sai che potresti passare tutta la vita così, in orbita, in una combinazione improbabile, ma tremendamente esatta, con l’atlante stradale e le mappe delle stelle.

Qui, di fronte alla Terra che brilla come uno specchio illuminato in una stanza nero pece, ogni visione ti ha spalancato il cuore, scardinandolo, una fessura per volta: le isole Curili come una scia di impronte e il Giappone, sotto di loro, simile a un fantasma che infesta le acque; le luci di Città del Capo, un artiglio che segna l’inizio, o la fine, di un continente; i fiumi del Nord America come lunghe ciocche di capelli caduti, l’Himalaya come brina strisciante; le isole Marshall, un delicato merletto di terre, e nella Polinesia francese gli atolli simili a losanghe di opale; e ancora, canyon come conchiglie di madreperla, continenti incisi con l’oro nell’ultimo tratto di notte, il nichel morbido e levigato del Mediterraneo luccicante nel Sole, la spirale del centro America, la distesa ocra e marrone dell’Uzbekistan; e poi Johannesburg e Pretoria, in Sudafrica, unite come una stella binaria; i Grandi Laghi come acciaio battuto nel sole di pomeriggio; le luci di Taiwan e Hong Kong, vicine alla curvatura terrestre, simili a incendi che divampano; e c’è la Danimarca che balza come un delfino verso la Norvegia e la Svezia, c’è il bastione di montagne del Sud America, ci sono le regioni dell’Asia turgide di mattino; e c’è la costa sinistra del Canada, che non è affatto una costa, ma tanti frantumi di terra; e le città dell’Africa – continente di caotica perfezione, raso stropicciato, pastello sbriciolato – simili a mucchietti di monete d’oro su un telo ricamato; e la solennità del tardo pomeriggio del Nord Europa; e di notte, sotto la prima neve della stagione, ci sono Samara e Togliatti, sulle candide sponde del Volga, simile a un serpente nero che si staglia nel bianco; e poi il panorama dell’estremo nord, un vortice liquido di banchi di ghiaccio e nubi.
E mentre fissiamo nel nostro cuore le immagini delle aurore polari, che mutano e ondeggiano serpeggiando all’interno dell’atmosfera, frenetiche e magnifiche come una creatura intrappolata; mentre un fulmine compare come un fiore elettrico che sboccia e si richiude in silenzio; mentre contempliamo il ricamo delle navi che solcano l’oceano, il Terminatore continua a spostarsi e ancora una volta ci meravigliamo per l’arrivo dell’alba – quando, sulla spalla destra del pianeta, compaiono le prime fessure argento, e basta un attimo perché questo lato si trasformi in una scimitarra brillante – e poco dopo per i mille modi in cui la Terra canta di luce, fino a un’altra ora del tramonto, che ci trova incantati di fronte a quella linea sempre meno nitida, come se la Terra, acquerello che perde colore, si stesse dissolvendo.

Davanti a tutto questo, mentre i continenti passano come campi e villaggi dal finestrino di un treno, molte grandi domande sembrano tornare a scavarci nel cuore.
Come conciliare l’arroganza e l’avidità dell’uomo con la sua capacità di sentire, con il dono di essere testimoni di quanto c’è di buono?
Come conciliare la consapevolezza di ciò che è possibile fare con il desiderio, la convinzione, l’opportunità e la spinta dell’autodeterminazione con tutta un’altra consapevolezza, quella di essere granelli di sabbia? Come conciliare il fatto che contiamo tanto e non contiamo per niente? Che ogni vita di per sé è una nullità, ma anche molto più di tutto il resto?
E poi, chi o cosa ha creato l’universo – una forza sfrenata, attenta e bellissima, oppure, con una differenza banale e insormontabile al tempo stesso, una sfrenata, disattenta e bellissima?
Ma quanto più queste domande sembrano riemergere e incalzare, tanto più finiscono per annullarsi: nella miscela di spettacolo e straniamento che è quest’orbitare, infatti, realizziamo di essere noi il punto, realizziamo che il punto è la Terra. E d’altronde, a ben guardare, Harvey ci aveva fornito questa chiave già a pagina 3: la Terra è la risposta a tutte le domande. È questa, dunque, la grande intuizione di Orbital – la necessità di riportare l’attenzione su di noi, su quello che abbiamo attorno e su quello che abbiamo dentro, sulla bellezza e sulla potenza del mondo in cui viviamo e del nostro essere creature.
E, allora, quanto è commovente che da qui la Terra sembri infinitamente unita, come un poema epico di versi che scorrono? Quanto è potente l’idea che una creatura qualsiasi sulla Terra da sola possa raccontarci tutto, la storia del mondo e forse anche il suo futuro, perché la sua storia è la storia della Terra?
Quanto è commovente che forse, tra più o meno quarantamila anni, una qualche forma di vita in un qualche sistema planetario della Via Lattea recupererà una vecchia sonda derelitta e libererà la Quinta di Beethoven, che rimbomberà come un tuono attraverso una frontiera diversa, e la musica dell’uomo potrà risuonare fino ai confini della nostra galassia?
La musica dell’uomo e quella della Terra, messe insieme: sono queste le cose che vorremmo lasciare, che vorremmo attraversassero la nube di Oort, i sistemi solari, i meteoriti sfreccianti e l’attrazione gravitazionale di stelle che ancora non esistono. Sono queste cose – il canto delle balene, il belato di una pecora, risate, passi, il lieve schioccare di un bacio, il rombo di un trattore, la voce di un bambino, e magari la firma sonora di un cervello inondato d’amore. E allora queste cose osserviamole, diamo loro spazio, ricordiamocele. Perché la domanda giusta, quella vera, è una domanda retorica: ci sono davvero cose più importanti di queste?

Se questo articolo ti è piaciuto e se vuoi scoprire altri autori contemporanei, puoi visitare la sezione del blog dedicata cliccando qui🙂

Condividi:

De viris et mulieribus consecratis Ilium di Elisabetta Buonavolontà

De viris et mulieribus consecratis IliumUomini e donne da Troia: è così che Elisabetta Buonavolontà ha intitolato il suo libro, e non riuscirei a immaginare titolo più azzeccato per questo splendido mosaico di personaggi ed episodi con cui l’autrice riscrive e rievoca l’èpos greco-latina classica.
Elisabetta Buonavolontà riscrive e rievoca, rievoca e riscrive, e lo fa con intelligenza e passione, con tutto l’impegno di ricerche approfondite, consapevoli, meticolose – impossibile non accorgersi dell’enorme lavoro dietro a ogni pagina – e con uno stile fluido, in cui l’epica risuona in continuazione e in cui il linguaggio, dall’uso di epiteti e patronimici alle similitudini che coinvolgono le divinità, sembra davvero un tuffo nella grande letteratura classica.

De viris et mulieribus consecratis Ilium di Elisabetta Buonavolontà.
De viris et mulieribus consecratis Ilium di Elisabetta Buonavolontà.

Il libro di Buonavolontà unisce e raggiunge due grandi obbiettivi: una riscrittura originale dell’Iliade e dell’Eneide che segua il filo conduttore dell’amore tra Enea e Creusa – amore che si rivela anche chiave di lettura dell’intero romanzo – e al tempo stesso la fedeltà a episodi e storie che chi conosce i poemi ha piacere di ritrovare (anche con una certa linearità), percependo questo romanzo al tempo stesso nuovo e familiare.
Romanzo che comunque può funzionare bene anche come primo approccio per chi di epica classica è digiuno, e ciò non solo grazie agli eventi e ai personaggi che lo popolano, ma anche per la presenza di diversi tópoi che l’autrice ripropone con consapevolezza: le scene di caccia, la ritualità (vedi il taglio dei capelli prima del matrimonio), il peculiare trattamento delle divinità e tanti altri elementi imprescindibili a dare credibilità a un racconto epico di questo genere, senza contare poi le storie nella storia, i miti che vengono rievocati da alcuni personaggi, dalla voce narrante o attraverso i dialoghi.

Ma la grande forza di questo libro è proprio la rilettura che l’autrice dà all’intera storia. I personaggi di Enea e di Creusa, la loro ferma morale, le loro insicurezze personali, le loro difficoltà in famiglia e soprattutto quella grande storia d’amore che si sviluppa e si evolve sullo sfondo di un disegno divino, di un fato che è difficile ignorare e rispetto al quale li vediamo agire, evolversi, scegliere, soffrire e ancora amare.
E qui torno a Creusa: Creusa, Creusa soprattutto, generosa e forte, ribelle e passionale, alla ricerca della giustizia e mai della vendetta, narratrice di storie, inquieta e indomita, capace come nessun altro di accettare un fato ingiusto, capace come nessun altro di amare e di sacrificare se stessa per il futuro di un marito e di un figlio e nel nome di una prospettiva più ampia, di una prospettiva più alta.
Per questo, più di tutto il resto, vorrei ringraziare Elisabetta Buonavolontà: per aver reso giustizia a un personaggio trascurato e poco noto come quello di Creusa, per averle dato vita e per averle dato luce, perché Creusa davvero splende nelle sue pagine e dopo aver letto di lei in questo modo, veramente, mi sarà difficile smettere di pensarci.

Se questo articolo ti è piaciuto e se vuoi scoprire altri autori contemporanei, puoi visitare la sezione del blog dedicata cliccando qui🙂

Condividi:

Indomabili onde di Paola Kovalsky

Cuba per me era una canzone pompata a mille nelle casse di uno stereo, tanto da non riuscire a restare ferma […], racconta Claudia nel capitolo 5 di Indomabili onde, usando un’immagine che rimane impressa, come molte altre che l’autrice, Paola Kovalsky, costruisce via via tra le pagine del suo romanzo d’esordio. 
Cuba assolata, del mare ruggente e ipnotico del Malecón, dei cieli auriferi e dei gabbiani garruli, delle macchine in corsa e delle feste di rum e sigari, vestita di colori e di musica, esotica e conturbante di stimoli, che riempie di vitalità e spinta emotiva, intensifica le emozioni, rende ebbri ed esausti.
Cuba che è anche e soprattutto terra ferita ma orgogliosa, resistente e coriacea oltre ogni misura. Cuba con il suo popolo dalla tempra indomabile.

La copertina del romanzo "Indomabili onde" di Paola Kovalsky.
Indomabili onde di Paola Kovalsky.

Perché è di questo che parla Indomabili onde. Di un popolo rivoluzionario, di una Rivoluzione che l’autrice decide di trasportare ai giorni nostri, rappresentandola e narrandola attraverso gli occhi di Claudia, giovane italiana che vedrà la sua vita cambiare dopo l’incontro con questi ideali, con questi grandi personaggi storici.

E del romanzo sono protagonisti, questi personaggi. La Kovalsky ce li racconta con attenzione, con sensibilità ma anche con naturalezza, come solo chi li ha studiati bene potrebbe fare.
Camilo Cienfuegos ed Ernesto Guevara, in particolare, sembra davvero di averli davanti.
Camilo, perennemente allegro e apparentemente felice, incantatore ed esperto ballerino, dalle espressioni complici e dallo sguardo fiero, e il cui sorriso, il cui buonumore rendono impossibile non volergli bene. Camilo che sa essere tenero, che sa innamorarsi e darsi all’amore, Camilo che vuole vivere a pieno le emozioni, spingersi verso la costa e tornare indietro, urlare di rabbia, inghiottire la vita e berla a pieni sorsi.
E poi Ernesto con quegli occhi scuri e magnetici, attenti ai dettagli come pochi o nessuno; occhi che poi diventano un pozzo di dolore, […] tristi, come sconsolati, pur condividendo il viso con la piega ferina della bocca, in grado di trasformare la sua espressione da afflitta a bellicosa. Ernesto con il suo carisma, la sua virile sessualità nei modi di fare, di parlare. Ernesto del quale la Kovalsky mette in luce non solo le spinte ideali, ma anche quel lato romantico, letterario, e quello più profondamente umano.

A Claudia, piena di entusiasmo innocente, questi personaggi incutono fascino e timore, mentre le loro ideologie e il loro carisma penetrano in lei e la stravolgono. Sì, perché questo è un libro che parla di ideologie, moralità, giustizia, consumismo, coscienza politica, diritti e libertà, ed è al tempo stesso un libro che trascina in un vortice di emozioni. Perché il fuoco della Rivoluzione si mischia ai tumulti interni dell’anima di Claudia, e perché la natura umana è imperfetta, carnale, contradditoria ed irrazionale. E allora c’è l’infatuazione, c’è l’amore, ci sono i sentimenti soffocati, le illusioni e le disillusioni, la nostalgia, il rimpianto, la rabbia e il dolore.
L’ultima sezione del romanzo è la più forte, la più dolorosa. Impossibile restare indifferenti, impossibile non farsi coinvolgere, impossibile non commuoversi. Si soffre e si piange insieme a quella scrittura che per tutto il romanzo sembra averci spinto per portarci fin lì, dove scorre ancora più forte, dove ci trascina come un fiume in piena verso indomabili onde di dolore, che si infrangono, nell’ultima pagina, sulle due meravigliose e pregnanti citazioni finali – Brecht e Pavese – messe lì come a suggello della storia e di quel dolore che sembrano imprimere e al tempo stesso accarezzare, rendendolo intimo e universale.

Se questo articolo ti è piaciuto e se vuoi scoprire altri autori contemporanei, puoi visitare la sezione del blog dedicata cliccando qui. 🙂

Condividi:

Nel grande regno di Thulas di Paola Maria Liotta

Immergersi tra le pagine di Paola Maria Liotta significa riscoprire una purezza che solo una storia fatta di animali e di natura incontaminata può dare.

La copertina del romanzo "Nel grande regno di Thulas" di Paola Maria Liotta.
Nel grande regno di Thulas di Paola Maria Liotta.

Nell’antico regno di Thulas, tra fronde e acque, rocce e cascate, mangrovie e ninfee, entriamo a far parte di una simpatica famigliola di macachi in libertà, una specie tra le più vivaci che popolano questi luoghi. Nonna Hera, mamma Emma e le sue figlie – tra le quali la neonata Elsa, protagonista assoluta della storia – sono una combinazione di forza, orgoglio e senso pratico, e portano con sé bontà e tenerezza. Ce ne rendiamo conto fin dai primi capitoli, nei quali, con una formula dolce e potente, le scene di maternità che coinvolgono Emma ed Elsa sembrano completare la descrizione del territorio, quelle immagini limpide del Grande Fiume e della foresta tracciate con sapienza e cura.

Attraverso lo sguardo ingenuo e intelligente della piccola Elsa, piena di curiosità e di voglia di vivere, la Liotta ci conduce nella trama come dentro a una foresta, e intricandoci e districandoci con il suo stile sempre chiaro, equilibrato e preciso, ci fa scoprire che quello della macachina è un mondo in pericolo, e che purtroppo il rapporto di simbiosi tra queste specie e il loro ambiente naturale, di cui partecipano anche le popolazioni locali che con gli animali dividono i frutti della terra, è sul filo del rasoio.
Attraverso marce ed esplorazioni, infatti, i nostri macachi scoprono che luoghi rigogliosi di acque e di fronde hanno lasciato il posto a una natura desolata, e sempre più spesso si trovano a fare i conti con gli incendi, l’odore della combustione, la caligine, il fumo, il grigiore, l’aria irrespirabile.
Ed è qui che noi lettori capiamo quali sono i problemi, purtroppo comunissimi, che stanno affrontando questi territori: il taglio indiscriminato delle foreste, con tutti i pericoli annessi, e il traffico illecito di cuccioli di specie protette. Tutto questo all’inizio non è chiaro ai nostri macachi, che di fronte al triste spettacolo del torrente inaridito, degli incendi periodici e degli esodi sempre più frequenti di animali si trovano inquieti e privi di risposte. A prendere in mano la situazione sono i più giovani, guidati proprio da Elsa, che per prima decide di abbandonare le cacce agli smeraldi e tutti gli altri giochi di fronte a quello che percepisce come il vero mistero su cui darsi da fare.

Ma tutti gli abitanti di Thulas fanno squadra per abbattere le minacce che mettono a rischio il loro territorio, e il romanzo si popola così di tanti animali, tutti con un’identità ben definita: l’ibis Arabella, il lombrico Pahem, il gamberetto Alpheus, la farfalla Eulalia, la tigre Kaya. E poi pesci, rinoceronti, elefanti. E non ci stupiamo di sapere che tra queste specie vige un’amicizia pura e disinteressata, fondata sulla solidarietà.
Anche alcuni umani sono così. È il caso del pescatore Bagus, che offre aiuto ai nostri protagonisti, o di Isabel e Mino, impegnati a diffondere, con parole e immagini, l’importanza della difesa dell’ambiente. Sono quegli umani, insomma, che rendono il bene la loro missione, perché hanno fatto tesoro di un insegnamento essenziale.
È quell’insegnamento che ascoltiamo soprattutto da nonna Hera, più volte e in modi diversi – fuggire chiunque offenda la nostra Madre Terra; non infrangere le leggi del cosmo; essere in sintonia con la Grande Madre Natura, assecondarne il ritmo, il respiro: e questa non è solo la legge di quei luoghi, ma anche un principio al quale occorre adeguarsi se ci si vuole sentire in pace con sé stessi e con gli altri.
È uno degli insegnamenti più importanti che la Liotta ci chiede di ricordare, mettendolo con semplicità nella bocca di giovani macachi che parlano per tutte le specie di piante e animali che popolano la nostra Terra e che ne costituiscono la più grande ricchezza. La nostra ricchezza. Non dimentichiamolo mai.

Se questo articolo ti è piaciuto e se vuoi scoprire altri autori contemporanei, puoi visitare la sezione del blog dedicata cliccando qui. 🙂

Condividi:

Mandorla amara di Maria Rita Sanna

Una foto del romanzo "Mandorla amara" di Maria Rita Sanna.
Mandorla amara di Maria Rita Sanna.

Sono sufficienti poche pagine per capire perché Mandorla amara di Maria Rita Sanna, edito Edizioni Convalle, si sia aggiudicato il marchio Microeditoria di Qualità.
Nel suo romanzo d’esordio, infatti, l’autrice di Quartu Sant’Elena tratteggia due figure femminili e con esse due storie e due vite diverse che intreccia con grande abilità.

La pregevole caratterizzazione dei personaggi, unita al racconto in prima persona, ci fa incontrare subito l’animo delicato ma forte di Lucia e quello burbero e tenero di Marisa, permettendoci di immedesimarci in breve tempo in una delle due (o, perché no, in entrambe); a questo, d’altronde, si affianca l’ottima scelta dell’autrice di introdurci ai loro conflitti interiori a velocità diverse: cogliamo dalle prime pagine la dolorosa situazione che Lucia sta vivendo, ma ci occorre leggere di più per capire fino in fondo Marisa e le sue sofferenze, anche se ci affezioniamo da subito a questo personaggio così scorbutico e così buono. 
La storia personale e interiore delle due donne procede in parallelo alla storia della loro amicizia: dall’approccio di cauta curiosità a quel reciproco interesse inesplicabile – frutto di un sesto senso che le attrae una verso l’altra – fino all’apertura a conversazioni, spesso brevi e pregnanti, e a confidenze che vengono fuori spontanee; si sviluppa così un rapporto di comprensione e solidarietà che sarà una vera e propria molla, perché spingerà le due ad affrontare sé stesse e il proprio conflitto interiore.
La città di Cagliari, teatro della storia, è dipinta in queste pagine con pennellate brevi ma accurate; spesso è descritta nei suoi spazi ampi, sa di azzurro e di giallo e sembra comunicare la positività e la libertà che le due protagoniste vanno cercando. Il bello, poi, è che in Mandorla amara il lettore davvero li vive, i luoghi rappresentati, e non solo quando si tratta del lungomare o dei noti portici, ma anche quando abbiamo davanti una semplice panetteria.

Per questo e per tanto altro è fluida e sapiente, la scrittura di Maria Rita Sanna, che già nel suo primo romanzo mostra di conoscere e di saper gestire alcuni imprescindibili punti fermi della buona narrativa: mi riferisco, ad esempio, ai due conflitti interiori corrispondenti alle due co-protagoniste, come anche alla funzione precisa attribuita a ogni personaggio e a ogni elemento presente nella storia, il che fa sì che alla fine ogni cosa torni al suo posto, lasciando al lettore un senso di soddisfazione.

Ma, soprattutto, non può mancare in questa recensione uno degli aspetti più interessanti del lavoro (e uno di quelli che personalmente ho apprezzato di più), vale a dire le magnifiche similitudini che coinvolgono elementi o fenomeni naturali, come quando Lucia paragona sé stessa a un albero potato, con un unico tronco spoglio di fronde e sterile, o come quando la stessa Lucia, per continuare con l’immagine in questione, sente crescere il germoglio nell’unico tronco spoglio, il fiore del mandorlo che sopravviveva alla tempesta invernale.
Concludo a questo punto con la splendida metafora della mandorla, da cui anche il titolo dell’opera, e a proposito della quale mi piace citare queste righe:
Vedi, Lucia, la mandorla diversa, amara, è necessaria per farci apprezzare meglio la dolcezza di quelle buone; il gusto dell’amaretto è particolare e la sua crosticina croccante, che racchiude la pasta morbida, ci ricorda la vita con le sue difficoltà che nascondono le gioie. Il fiore stesso di questo frutto nasce e sboccia durante l’inverno; nonostante il freddo, lui si mostra in tutto il suo splendore.”

Se questo articolo ti è piaciuto e se vuoi scoprire altri autori contemporanei, puoi visitare la sezione del blog dedicata cliccando qui. 🙂

Condividi:

Il manoscritto di Stefania Convalle

Una foto del romanzo "Il manoscritto" di Stefania Convalle.
Il manoscritto di Stefania Convalle.

Da quando ho iniziato a seguire su Facebook la pagina di Edizioni Convalle – fondata e guidata dalla scrittrice Stefania Convalle – ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte a una realtà giovane ed estremamente vivace, piena di autori motivati dall’amore per la scrittura e dalla voglia di creare un gruppo. Quando poi è uscito il nuovo romanzo di Stefania, Il manoscritto, ho deciso di acquistarlo, incuriosita dalla trama ma spinta anche dal desiderio di avvicinarmi al mondo interiore di questa donna così energica e propositiva.

Adesso, a lettura conclusa, voglio parlare un pochino di ciò che ho trovato tra le pagine di questo romanzo.

Il manoscritto, tanto per cominciare, è una storia di rinascita e di redenzione. Al plurale, in realtà, perché sono ben tre i personaggi che, incrociando i propri cammini in un momento di difficoltà, trovano uno nell’altro l’occasione di un percorso interiore essenziale per voltare pagina e ricominciare a vivere.

Il manoscritto è una storia che si legge – si fa leggere, si lascia leggere. A questo concorrono la scrittura di Stefania Convalle – concisa ma sempre pregnante di sentimenti (insomma, poche parole, ma quelle giuste) – e diverse scelte felici: la narrazione in prima persona, che consente di immedesimarsi nei protagonisti fin dall’inizio; l’alternanza dei punti di vista, che coinvolge il lettore nelle storie, soprattutto interiori, di più personaggi; la presenza di piccoli misteri sapientemente gestiti, che spingono avanti le pagine rendendoci sempre più curiosi di sapere.

Sullo sfondo una città, Trieste, dalle tante sfaccettature: romantica e malinconica, fresca e antica, capace di scombinare gli animi ma anchedi rimettervi ordine. In questo senso, nella vicenda personale di Emilia – la protagonista femminile – giocherà un ruolo di primo piano un’anziana signora: è la vecchina della porta accanto, amica sincera, dolce confidente e, soprattutto, prezioso tesoro di saggezza. Una scelta interessante, quella di Stefania Convalle, che in un romanzo dove i protagonisti hanno perso la strada propone come punto fermo – come unico punto fermo! – proprio questa cara vecchietta, mostrando così di attribuire all’esperienza dei nostri anziani un valore essenziale, imprescindibile (cosa che le rende decisamente onore).

E ci tengo a dirlo, perché sì, sono convinta che un libro ci riveli sempre molto del suo autore. E allora mi viene spontaneo concludere con un ritratto della stessa scrittrice, tracciato sulla base dei messaggi che lei ha voluto consegnare a questo bel romanzo: Stefania Convalle è una persona generosa, piena di sentimento, amante degli animali; Stefania Convalle sostiene – come pochi fanno oggi – l’importanza del vero talento nell’arte e nella letteratura; e, ancora, Stefania Convalle è convinta che ogni persona nella propria vita meriti una seconda possibilità – e che, soprattutto, siamo noi stessi a dovercela concedere per primi.

Se questo articolo ti è piaciuto e se vuoi scoprire altri autori contemporanei, puoi visitare la sezione del blog dedicata cliccando qui. 🙂

Condividi: