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Il mistero profondo che pervade Cavalli selvaggi

La mia edizione di Cavalli selvaggi.
Foto scattata nell'inverno 2023.
La mia edizione di Cavalli selvaggi.
Foto scattata nell’inverno 2023.

La ricerca di un posto nel mondo da parte del giovane John Grady Cole, il suo viaggio a cavallo dal Texas al Messico, le esperienze con l’amicizia, la cattiveria, l’amore, l’ingiustizia, l’arroganza dei potenti, il dolore: Cavalli selvaggi è un vero e proprio romanzo di formazione, ma le atmosfere e le ambientazioni tutte western gli conferiscono un respiro raro, arcano, e il risultato è maestoso.
È un viaggio per le strade dello spazio e del tempo, è la ricerca di se stessi nella ricerca di un passato mitico, è il contatto con la propria identità nel contatto con la natura aspra e solitaria, sperduta e bellissima, onnipresente e selvaggia.
E selvaggio è anche il fascino di questo romanzo: una visione cupa, spesso desolata, del genere umano accordata a descrizioni di un lirismo intenso, a paesaggi che sembrano di mondi primordiali, a immagini di poesia pura.
C’è un mistero potente che sembra pervadere ogni pagina, un mistero che non riuscivo e non volevo sondare ma che ha coinvolto ogni fibra di me: è lo stesso mistero che mi è rimasto addosso nelle vesti di un’emozione confusa, stupefatta, di una commozione inafferrabile e profonda.

***

Credo che in casi come questi risulti utile e necessario lasciar parlare direttamente il libro. Ecco perché ho deciso di trascrivere una serie di passi che mi hanno colpito particolarmente e che credo risultino rappresentativi delle sensazioni che Cavalli selvaggi è in grado di trasmettere. Si tratta di passi che ho sottolineato, letto e riletto più volte, e mi piace l’idea di averli anche qui sul blog, di poterli ritrovare in qualsiasi momento.
Li raccolgo sotto alcune parole chiave; le pagine si riferiscono all’edizione Einaudi 2014.

Atmosfere

“Era l’ora che preferiva da sempre, l’ora delle ombre lunghe, quando nella luce rosata e obliqua l’antica strada prendeva forma davanti ai suoi occhi come un sogno del passato nel quale i cavalli dipinti e i cavalieri di quel popolo perduto, con le facce istoriate […] Quando soffiava il vento da nord si sentivano gli indiani, i cavalli, il fiato dei cavalli, gli zoccoli foderati di cuoio, il tintinnio delle lance e il perpetuo frusciare dei travois trascinati sulla sabbia […] I guerrieri, invece, fra rumori di asce e lance da età della pietra prive ormai d’ogni efficacia, avrebbero proseguito nell’oscurità destinata a inghiottirli, cantando sommessamente alla maniera degli avi e spingendosi speranzosi a sud nelle pianure che portavano al Messico.” (pp. 7-8)

“Nella notte fredda e chiara le rosse scintille del fuoco si perdevano fra le stelle.” (p. 12)

“Sdraiato sotto la coperta, John Grady contemplava il quarto di luna reclinato sulla cresta delle montagne. In quella falsa alba blu le Pleiadi sembravano levarsi nell’oscurità sopra il mondo trascinando con sé tutte le stelle, mentre il gran diamante di Orione, Cepella e il marchio di Cassiopea sembravano una rete da pesca gettata nel buio fosforescente. Rimase là a lungo ad ascoltare il respiro degli altri che dormivano e a contemplare la natura selvaggia fuori e dentro di sé.” (p. 59)

“John Grady rimase a guardare il firmamento srotolarsi dalle scure palizzate delle montagne che sorgevano a oriente. Il villaggio era buio pesto. Non un cane abbaiava. […] L’orsa maggiore al confine settentrionale del mondo ruotò e la notte parve non passare più.” (p. 80)

“Grandi pascoli verdi si estendevano a perdita d’occhio nella densa bruma violetta della sera e a occidente piccoli stormi di uccelli acquatici, come branchi di pesci in un mare infuocato, migravano a settentrione sullo sfondo delle gallerie rosse scavate nelle nuvole dalla luce del tramonto. Nella pianura più vicina videro alcuni vaqueros spingere avanti il bestiame attraverso un velo di polvere d’oro.” (p. 91)

“Di notte s’accampavano sulle alture dove il fuoco agitato dal vento saettava nel buio […]” (p. 110)

“Distesero le coperte e John Grady si tolse gli stivali, li mise accanto a sé e si sdraiò vicino alla brace. Guardò le stelle e l’ardente cintura di materia che correva lungo la nera volta celeste. Poi allungò le braccia lungo i fianchi e premendo le mani contro la terra si lasciò girare lentamente nelle tenebre di quella cupola gelida e ardente, sentendosi al centro del mondo teso e tremante che si muoveva enorme e vivo sotto le sue mani.” (pp. 118-119)

“[…] vero il cavallo, vera l’amazzone, vero il cielo e vera la terra, eppure tutto era un sogno.” (p. 131)

“Sulla mesa videro un temporale arrivare da nord e all’imbrunire la luce divenne spettrale. I verdi occhi scuri dei laghetti incastonati nella savana deserta sembravano squarci aperti su un altro universo. A ponente le nuvole gonfie di pioggia lasciavano filtrare lame di luce sanguigna che a un tratto avvolsero il paesaggio in un’aura violetta.
Sedettero sulla terra vibrante a causa dei tuoni e alimentarono il fuoco coi resti di un vecchio steccato. Stormi d’uccelli provenienti dalla campagna sbucavano dalla semioscurità sfiorando il bordo della mesa e i lampi saettavano all’orizzonte come infuocate radici di mandragola.” (pp. 136-137)

“Allora lei gli raccontava le storie della famiglia paterna e del Messico mentre le stelle cadevano a centinaia e le luci della valle sembravano muoversi come se il mondo girasse intorno a un altro centro. […] Era così bianca nell’oscurità che sembrava ardere. Come un fuoco fatuo in una foresta buia. Che ardeva freddo. Ardeva freddo come la luna.” (p. 140)

“Viaggiò tutta la notte e al primo chiarore dell’alba, in groppa al cavallo stremato, s’inerpicò su un’altura al di sotto della quale scorse il villaggio, il chiarore giallino della prime finestre illuminate, le case dai vecchi muri di fango e gli esili fili di fumo che si levavano verticalmente nell’alba senza vento perdendosi nell’oscurità. L’aria era così immobile che il villaggio sembrava appeso a quei fili.” (p. 257)

“Poi venne buio pesto e il deserto piombò nell’immobilità e nel silenzio. Si sentiva solo il respiro dei cavalli e il rumore degli zoccoli sulla terra. John Grady puntò il cavallo sulla stella polare e proseguì la marcia mentre la luna sorgeva a levante i coyote ululavano rispondendosi lungo tutta la piana.” (p. 284)

Luna

“E insieme s’erano avviati sulla strada della ciénaga alla luce della luna che brillava a ponente come un panno bianco steso ad asciugare fra gli ululati dei cani.” (pp. 139-140)

“La luna appena sorta danzava sui fili della luce come una nota musicale argentata accesa nell’oscurità senza fine.” (p. 220)

“La luna risplendeva a ponente mentre lunghe nuvole piatte le scorrevano davanti come una flotta fantasma.” (p. 296)

Sole, confini, orizzonti

“Buio, freddo, non un filo di vento e un sottile chiarore che cominciava a spuntare lungo il confine orientale del mondo.” (p. 5)

“L’ultima luce del giorno inondò la pianura alle spalle del cavaliere e si ritirò nuovamente lungo i confini del mondo nella fresca ombra azzurrina del crepuscolo sempre più freddo, fra gli ultimi cinguettii degli uccelli rintanati nell’oscuro groviglio dei rovi.” (p. 8)

“A ponente la campagna si estendeva a perdita d’occhio in un gioco di luci e di ombre e in lontananza, a più di cento miglia, le nubi nere dei temporali estivi incombevano sulle cordigliere che si levavano e sparivano nella foschia tremolando incerte all’estremo limite dell’orizzonte visivo.” (p. 225)

“A ovest il sole calante spuntò dalle nere nubi sui monti e arrossò una stretta striscia di cielo che sembrava un filo di sangue nell’acqua.” (p. 283)

Libertà

“Cavalcò con la faccia ramata dal sole nel vento rosso che soffiava da ovest.” (p. 8)

“Le luci scomparvero alle loro spalle. S’inoltrarono nella prateria mettendo le bestie al passo sotto il cielo nero trapunto di stelle. Da qualche parte nella notte vuota i rintocchi di una campana risuonarono e si spensero lontano dove campane non ce n’erano. Sulla superficie ricurva della terra buia e senza luce che sosteneva le loro figure e le innalzava contro il cielo stellato, i due giovani sembravano cavalcare non sotto ma in mezzo alle stelle, temerari e circospetti al contempo come ladri appena entrati in quel buio elettrico, come ladruncoli in un frutteto lucente, scarsamente protetti contro il freddo e i diecimila mondi da scegliere che avevano davanti a sé.” (p. 31)

Treno, automobile

“Fischiando e sbuffando in lontananza, il treno sbucò da est come un irriverente satellite del sole che stava per nascere. Il lungo fascio dell’unico faro esplorava l’intrico dei cespugli di mesquite, faceva emergere nella notte lo steccato diritto e senza fine che costeggiava i binari e di nuovo risucchiava nel buio miglia e miglia di fili e paletti lasciandosi dietro il frastuono insistente e il fumo della caldaia a vapore che si sfrangiava lento nell’incerto chiarore del nuovo giorno.” (p. 6)

“La polvere sollevata dall’auto aleggiava davanti a loro a perdita d’occhio, vorticando lentamente al chiarore delle stelle come le spire di una creatura enorme che emergeva dalla terra.” (p. 124)

“Il treno arrivò sbuffando e si fermò ansimante con i finestrini illuminati dei vagoni che si perdevano lungo il binario ricurvo come grandi tessere di domino accese nel buio.” (p. 254)

Cavalli

“Ciò che amava nei cavalli era la stessa cosa che amava negli uomini, il sangue e il calore del sangue che li animava. Tutta la sua stima, la sua simpatia, le sue propensioni andavano ai cuori ardenti. Così era e sempre sarebbe stato.” (p. 8)

“Il ragazzo, che cavalcava poco più avanti, stava in sella come ci fosse nato, e infatti era così, ma dava l’impressione che, se fosse nato in uno strano paese privo di cavalli, avrebbe saputo scovarli ugualmente. Perché il mondo fosse a posto o perché lui fosse a posto nel mondo, si sarebbe accorto che mancava qualcosa e sarebbe andato in giro continuamente e dovunque finché non si fosse imbattuto in un cavallo, e allora avrebbe capito subito che il cavallo era e sarebbe sempre stato quel che cercava.” (pp. 24-25)

“Nel sogno lui correva in mezzo ai cavalli inseguendo le giumente e le puledre che risplendevano al sole nei loro fulgidi manti bai e castani. I puledri correvano insieme alle madri e calpestavano i fiori sollevando una nebbia di polline che aleggiava nell’aria come polvere d’oro. Lui correva sugli altopiani insieme ai cavalli che facevano rimbombare il terreno sotto gli zoccoli, e fluivano liberi con la criniera al vento e la coda spumeggiante. Lassù non c’era nient’altro e i cavalli si muovevano in armonia come fossero guidati da una musica. I puledri e le giumente non avevano alcuna paura e correvano immersi nell’armonia universale che è il mondo stesso e che non si può descrivere, solo esaltare.” (pp. 161-162)

“Sentendo il respiro lento e regolare del cavallo di Blevins scaldargli la pancia e bagnargli la camicia, John Grady si accorse che stava respirando con lo stesso ritmo, come se una parte del cavallo respirasse dentro di lui, e pian piano entrò con la bestia in un’intimità ancor più profonda e priva di un nome.” (p. 265)

Finale

“Nelle raffiche di polvere sanguigna vomitata dal sole spronò il cavallo e riprese a marciare col viso ramato dagli ultimi raggi di luce, mentre il vento rosso dell’ovest spazzava il paesaggio crepuscolare e gli uccelli del deserto svolazzavano cinguettando fra le felci secche, e il cavallo, il cavaliere e il secondo cavallo passarono, e passarono le loro ombre affiancate come l’ombra di un unico essere. Passarono e impallidirono sulla terra sempre più buia, sul mondo a venire.” (p. 299)

Se questo articolo ti è piaciuto e se ti interessano i classici della letteratura, puoi visitare la sezione del blog dedicata cliccando qui. 🙂

Di Cavalli selvaggi ho parlato anche qui. 😉

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“Amori sui generis”

Mari Ermi insieme alla pergamena con la Menzione d'Onore al Premio Letterario Nazionale Città di Grosseto "Amori Sui Generis", edizione 2022.
Mari Ermi insieme alla pergamena con la Menzione d’Onore al Premio Letterario Nazionale Città di Grosseto “Amori Sui Generis”, edizione 2022.

“Amori Sui Generis”. Questo il tema del Premio Letterario Nazionale che a ottobre 2022 ha voluto conferire a Mari Ermi una Menzione d’Onore. Il filo conduttore delle opere a concorso, più nello specifico, doveva essere “un sentimento d’amore (o una passione) molto forte, capace di dominare completamente una o più persone: platonico, spirituale, sensuale, romantico, materno, filiale, fraterno, coniugale, di amicizia, rivolto verso se stessi come manifestazione di egoismo e di egocentrismo, amor proprio, per un ideale, per la solidarietà, passione per lo sport, per le arti, per il gioco o per altro.”

Riporto la dicitura per intero perché nel rileggerla ho riflettuto di nuovo su tante cose, e mi sono stupita di quanti tipi di “amori sui generis” io abbia riversato, anche inconsciamente, in Mari Ermi.

Non ci sono dubbi che il più grande, il più significativo per la trama sia l’amore dei due protagonisti, Antonio e Ambra, nei confronti della natura. Una natura dai colori intensi di agrumeto e una natura che è campagna incolta, corse selvagge, cieli sconfinati e ancora vento, rocce, spiagge bianche, scie di galassie dove le stelle sembrano pulsare. Cercarla, esplorarla, viverla significa scoprire se stessi, entrare in contatto con la parte più intima di sé.
Poi c’è l’amore sconfinato per un sogno, un ideale, un progetto di vita. Ma c’è anche l’amore filiale, che porterebbe Antonio a mettere da parte quel sogno pur di non deludere i genitori. Non per niente, è lo scontro tra due “amori sui generis” a creare il conflitto interiore più duro – e il più delicato – del romanzo.
Ancora, c’è l’amore di un genitore nei confronti del proprio figlio, un amore che cerca direzioni, che soffre e spera e confonde e sbaglia.
Infine, l’amore per l’arte: una forza viscerale, sofferta, totalizzante, che scardina sentimenti e sconvolge intere vite.
Ogni romanzo è mosso da tante energie, e una riflessione su quelle che animano il mio – e sul loro continuo incastrarsi e condizionarsi a vicenda – volevo farla da tempo.
Non so per quale (o quali) di questi “amori sui generis” la Giuria abbia voluto assegnare a Mari Ermi la Menzione d’Onore. So, però, che mi rende felice.

Sono grata alla Giuria del Premio per aver scelto di assegnarmi questo riconoscimento, ma ancor prima, come sempre, sono grata alla Edizioni Convalle, che ha creduto in me e nelle mie pagine da subito.

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Di scrittura e disciplina

Quaderno, matita, candela accesa: uno dei momenti di scrittura che amo di più!
Quaderno, matita, candela accesa: uno dei momenti di scrittura che amo di più!

Per scrivere ci vuole disciplina.
Eccola qui la grande verità, il fatto incontrovertibile, il caposaldo innegabile di quest’arte e di tutte le arti del mondo.

Per scrivere ci vuole disciplina, e il motivo non è la costante mancanza di tempo nelle nostre giornate.
Certo, è vero che il tempo è un problema, ma spesso, diciamolo chiaramente, è anche una scusa. 
Il fatto è che la scrittura, purtroppo, non è solo un romantico prodotto dell’ispirazione. Io sono convinta che l’ispirazione esista – parleremo in seguito di cosa sia per me – e sono convinta che esista anche il talento, ma ciò non toglie che la scrittura, anche in presenza di queste doti, sia soprattutto una questione di disciplina. Ti ci devi mettere. E non è così facile.
Sapete perché non lo è?
Perché scrivere è anche, e soprattutto, fatica.
Sì, la scrittura è fatica, spesso persino sofferenza. È incessante interrogarsi della mente, è sudare sulla tastiera.
Mi sono accorta che non viene detto spesso, quindi lo ripeto: scrivere è faticoso.
Scrivere è un impegno. Scrivere richiede sforzo. Scrivere è difficile. Dannatamente difficile.
E, per questo, spesso ci inventiamo scuse per non farlo. Sì, è questo il motivo più profondo per cui fatichiamo a metterci davanti al foglio o allo schermo, per cui “c’è sempre qualcosa di più importante da fare, qualcosa di più urgente”. 
Ed è qui che entra in gioco la disciplina.
La disciplina è un’arma perché ti costringe a non rimandare, a metterti davanti al foglio senza se e senza ma; perché ti propone un obiettivo, perché trasforma pigrizia e reticenza in un momento cercato, atteso, indispensabile. In questo senso, è verissimo che la scrittura è come lo sport, e anzi, probabilmente non c’è paragone più azzeccato: è molto difficile iniziare, ma quando prendi il ritmo non puoi più farne a meno.

Queste cose le ho sempre sapute, le ho sperimentate periodicamente negli anni, ma solo nel 2022, complice la pubblicazione di Mari Ermi e l’intenzione di fare davvero sul serio, ho cominciato a lavorare come si deve sulla disciplina. In quali modi, ve lo racconto al prossimo appuntamento con questa rubrica.
…Non vedo l’ora!

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Di campagna sarda, di agrumeti e di un paese di nome Milis

🌱 Mari Ermi nasce in campagna. 🌿
Nasce in Sardegna tra le piante in fiore, tra i prati e i campi selvaggi che sconfinano in spiagge incontaminate, tra gli alberi profumati che aprono gli orizzonti a spazi immensi di cielo.
🍊 Mari Ermi nasce, soprattutto, in una campagna dai colori verde e oro. È quella che conosco bene, quella in cui sono cresciuta: la campagna di Milis, noto in tutta la Sardegna come “il paese degli agrumi”. Gli orti di Milis, come li chiamiamo noi, sono anche una tradizione secolare, cominciata col lavoro dei frati camaldolesi nel 1200 e benedetta dalla fertilità del suolo e dalla ricchezza dell’acqua nel territorio.
🧡 Arrivare al paese è piacevole in tutte le stagioni.
In estate, quando le pianure circostanti arse dal sole ingialliscono, nelle strade attorno a Milis si respira di verde, di fresco, e un allegro canto di cicale sparge nell’aria un sereno benvenuto. In inverno il profumo degli agrumi è ovunque; in primavera l’arancio si mischia al bianco delle zagare.
☀️ Frequento la campagna da sempre, e passeggiare in un agrumeto in una giornata di sole invernale è una delle attività più rigeneranti che io conosca. Non per nulla il mio romanzo comincia proprio così, in una mattina azzurra e soleggiata d’inverno in un agrumeto, e il mio protagonista, Antonio, è un ragazzo che lega i suoi sogni al destino di un agrumeto di famiglia.
🌿 Ecco perché, tra tutti gli scenari naturali del mio Mari Ermi – dai prati incolti alle spiagge selvagge – quello verde e dorato è il fondante e il prevalente.
Certo, non racconto solo l’aspetto idilliaco: ci sono anche la fatica del lavoro, la stanchezza, la delusione e la frustrazione quando le cose vanno male e diverse altre problematiche. Però, sì, lo spazio maggiore appartiene alla bellezza della natura, alle soddisfazioni che solo lei è in grado di donare.
🌱
✨ E allora questo scatto mi sembra perfetto: Mari Ermi in uno degli agrumeti di famiglia in una mattina fresca di sole d’inverno. E Mari Ermi brilla davvero, tra il verde delle foglie e i frutti dorati.
🌱🍊💫

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Cinque cose belle a tema libri e scrittura del mio 2022

Eccole qui: cinque cose importanti, cinque cose belle a tema libri e scrittura che hanno caratterizzato il mio 2022 e che mi sembrano perfette da condividere sia come riflessione sull’anno appena trascorso sia come augurio di un buon anno nuovo. E allora via, cominciamo!

Io, il mio romanzo Mari Ermi e la spiaggia di Mari Ermi dietro di me nei colori del tramonto.

Mari Ermi.
Il lungo percorso di questa storia – nata nel 2016 e riscritta e corretta, tra una cosa e l’altra, fino al 2021 – è giunto a un traguardo e a un nuovo inizio quando, sempre nel 2021, ha incrociato la sua strada con quella di Edizioni Convalle, una casa editrice che ha visto nelle sue pagine tante cose e ha deciso di darle fiducia. Per Mari Ermi il 2022 è stato un anno intenso, pieno di sfide e di scoperte, dal percorso pre-pubblicazione all’avventura della promozione: piccoli grandi passi, tanta costanza, idee, colori, pazienza e fiducia per portare il libro ogni giorno più in là.
Impegno, fatica ed entusiasmo sono stati accompagnati da tanti riscontri e da grande affetto nei confronti della mia storia da parte dei miei lettori. Sono felice, soddisfatta, ma questo cammino è solo all’inizio. Ho tante cose in mente.

La scrittura.
Quest’anno sono riuscita finalmente a realizzare un obiettivo che inseguivo da tempo immemore: dare alla scrittura il giusto spazio nella mia quotidianità.
La difficoltà era sempre la stessa – l’impressione che altri impegni, altre incombenze (lavorative e non) fossero sempre più importanti, più concrete della necessità di scrivere, e da qui la tendenza a procrastinare, a rimandare giorno dopo giorno. Avevo capito da tempo quale fosse la soluzione: collocare la scrittura nella mia agenda giornaliera, darle un suo spazio, concreto e imprescindibile, nelle mie giornate. Per qualche ragione, però, non ero mai riuscita a mettere questa soluzione in pratica per periodi prolungati.
Senza motivi particolari, il 1° agosto di quest’anno è stato il momento spartiacque, quello in cui ho deciso seriamente di iniziare a scrivere tutti i giorni, fossero anche solo due righe. Da lì in poi non c’è stato giorno in cui non l’abbia fatto. Una piccola-grande soddisfazione, un impegno che sento come un piacere, e un’abitudine che mi sta aiutando a crescere e a migliorarmi sempre di più. Ne parlerò più diffusamente a gennaio.

Il mio romanzo Mari Ermi davanti all'albero di Natale.

I progetti.
Quest’anno ho intrapreso un percorso interiore che mi ha portato a lunghe riflessioni sul mio lavoro, sulle mie passioni, sui miei progetti e sui miei obiettivi legati ai libri e alla scrittura. Se il mondo dei libri è per me la cosa più importante, cos’altro posso fare, rispetto a quanto sto già facendo, per poter vivere questa realtà sempre di più, per poterle dare sempre più spazio nella mia vita? Ci ho pensato a lungo, e alla fine credo di aver trovato una risposta e di aver preso una decisione. Ne riparleremo presto.

Le fiere.
Il Salone del Libro di Torino a maggio e la Rassegna della Microeditoria di Chiari a novembre mi hanno dato tantissimo. Non ero mai stata a una fiera prima, e poter vivere entrambe al quadrato, come lettrice e come autrice, è stata un’emozione enorme. Ho parlato diffusamente di queste fiere in articoli dedicati, ma tenevo a ringraziare ancora una volta la Edizioni Convalle per questa possibilità e, naturalmente, Matteo per il sostegno incondizionato: è stato fondamentale in queste occasioni, come lo è sempre.

La prima edizione di Furore.
È il piccolo-grande regalo che mi sono portata a casa dal Salone del Libro: una prima edizione, prima stampa di uno dei grandi romanzi che amo di più al mondo. Un’emozione immensa il momento in cui è diventata mia; un’emozione tenerla tra le mani e sfogliarla. Anche a lei ho dedicato una riflessione e alcuni scatti, nell’intento di trasmettere i sentimenti di antichità e immortalità che il contatto con quelle pagine ingiallite e perenni mi sa donare. Sì, perché è questo l’effetto della grande letteratura.

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L’emozione di sfogliare i classici dell’infanzia

Alcuni dei classici che leggevo e rileggevo ai tempi delle elementari, soprattutto nel periodo invernale: Pollyanna, Piccole donne, Jane Eyre, Cuore, L'isola del tesoro, La piccola Dorrit.
Alcuni dei classici che leggevo e rileggevo ai tempi delle elementari, soprattutto nel periodo invernale!

Una delle cose che amo di più quando torno in Sardegna è sfogliare i libri che ho tenuto nella mia libreria qui. Tra questi ci sono alcuni classici a cui mi sento legata in modo particolare: sono quelli che hanno accompagnato la mia infanzia e la mia adolescenza, quelli che ho letto più spesso – alcuni addirittura una volta all’anno – al punto da ricordarne ancora oggi intere parti.

In questo post ho deciso di mostrarvi quelli che leggevo e rileggevo ai tempi delle elementari soprattutto nel periodo invernale, e in particolare durante le vacanze natalizie:

Cuore di Edmondo De Amicis (Editrice Piccoli, 1988)

Jane Eyre di Charlotte Brontë (Fratelli Melita Editori, 1992)

Piccole donne di Louisa May Alcott (La Biblioteca Ideale Tascabile, 1996)

La piccola Dorrit di Charles Dickens (Istituto Geografico De Agostini, 1998)

Pollyanna di Eleonor H. Porter (Istituto Geografico De Agostini, 1998)

L’isola del tesoro di Robert L. Stevenson (Demetra, 1998)

Rivedere queste edizioni per me è davvero un’emozione!

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Di sogni, di motivazione, di sentimenti

Questo novembre io e il mio sogno – io e il mio libro – siamo approdati alla Rassegna della Microeditoria.
Eravamo stati al Salone di Torino a maggio e avevamo organizzato un firmacopie in Sardegna a settembre, e dunque avevo un’idea di cosa aspettarmi da me stessa e dalle mie emozioni; eppure, devo ammetterlo, queste emozioni alla Microeditoria mi hanno spiazzata comunque.
Questo perché quando partecipo a eventi del genere entro in un mondo diverso, come se per un paio di giorni abitassi un pianeta in cui esistono solo i libri, e in cui la cosa più importante è trasmettere il più possibile la mia passione per la scrittura e raccontare la mia storia, il mio Mari Ermi.

Io e Mari Ermi allo stand Edizioni Convalle alla Rassegna della Microeditoria 2022. 
Che emozione!
Io e Mari Ermi allo stand Edizioni Convalle alla Rassegna della Microeditoria 2022.
Che emozione!

E non posso fare a meno di immergermi al cento per cento, in questo pianeta, di lasciarmi regalare tutte le emozioni possibili: sabato e domenica ho dato tutta me stessa, ho parlato tutto il giorno, ho raccontato, chiacchierato, riso e sorriso, ho regalato un sacco di segnalibri, e sì, non mi sono davvero mai fermata.

Perché sono fatta così. Non posso fare a meno di mettercela tutta, sempre; non posso fare a meno di dare il massimo. E, quando si tratta di emozioni, devo viverle nel modo più intenso, devo animarle, assecondarle, farmi trascinare.

Entrambi i giorni sono tornata in hotel esausta, quasi senza più energie, ma profondamente felice ed estremamente grata.

Grata per questa possibilità, naturalmente. Grata a tutte le persone che ancora una volta mi hanno ascoltata e hanno deciso di dare fiducia al mio romanzo.
E grata a me stessa, sì, perché mi sono concessa di vivere a pieno questo evento e perché gli ho permesso di ricordarmi, e ancora una volta insegnarmi, qualcosa di fondamentale: dobbiamo crederci, nei nostri sogni, dobbiamo scendere in campo e lottare in prima persona, dobbiamo viverli; e, se è vero che per me la cosa più importante è quel pianeta variopinto che ruota attorno alle parole, è vero anche che devo fare tutto quanto è in mio potere per dare sempre più spazio a questa cosa nella mia vita, per nutrire e farmi nutrire da questo pianeta che vive di storie, di scrittura e di lettura, e che è la realtà più stupefacente e concreta che io conosca.

Se hai piacere di vedere altri scatti di queste giornate, visita la galleria fotografica dedicata a Mari Ermi cliccando qui. 😉

Se ti interessa ascoltare l’intervista telefonica in cui racconto questa esperienza, durante una diretta sulla pagina Facebook di Edizioni Convalle (minuti 10.00-35.00), puoi cliccare qui. 😉

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Cos’è, dunque, Memorie di Adriano?

La mia edizione di Memorie di Adriano.
Foto scattata nell’autunno 2022.

Un’impresa eccezionale, frutto di lavoro appassionato e travagliato, è quella concepita e realizzata da Marguerite Yourcenar, che riporta in vita il pensiero di un uomo, la complessità e l’iridescenza dei moti del suo spirito e, insieme, un’epoca che riusciamo a sentire attraverso uno sguardo di singolare spessore.

Cos’è, dunque, Memorie di Adriano? È capolavoro raffinato e delicato; è prosa in cui sconfina incessante la poesia; è, soprattutto, testimonianza e celebrazione delle altezze che l’uomo può raggiungere in quanto essere e pensiero, spirito e passione; è, semplicemente, documento prezioso e prova purissima del valore immenso dell’arte e della letteratura.

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Benvenuto, ottobre!

🍁 🐿️ L’autunno è iniziato da una decina di giorni e per le anime come la mia, innamorate di questa stagione, non c’è niente di più bello del mese di ottobre: passeggiare o andare in bicicletta tra i colori arancio-rossastri così accesi; ascoltare la pioggia sotto una copertina, magari con un bel libro o davanti a una piacevole serie tv; scrivere in compagnia delle candele profumate e di una rilassante playlist autunnale; tornare a casa dal lavoro che è già buio e godersi quel freschetto della sera che non è ancora freddo, oppure lavorare da casa con la prospettiva di un bel tè o una tisana calda dopo le lezioni. 
E poi, amo tantissimo le immagini generalmente associate a questa stagione: le castagne, la legna, gli scoiattoli, i biscotti, le zucche e, più in generale, tutto ciò che c’è di arancione, un colore che adoro in ogni stagione.

Autunno: ghirlande di foglie, cuscini a tema, candele profumate, libri nuovi!
Autunno: ghirlande di foglie, cuscini a tema, candele profumate, libri nuovi!

🍪 E proprio a cominciare dalle tinte arancioni quest’anno ho voluto ricreare anche dentro casa un po’ di atmosfera autunnale, in modo da avere attorno a me un ambiente ancora più caldo, rilassante e accogliente. Ho fatto quindi alcuni acquisti decorativi: dei cuscini adorabili, con disegni di zucche e foglie, che ora hanno preso posto sul divano, e una ghirlanda di foglie d’acero davvero bella che abbiamo collocato sul mobile della tv. È incredibile l’effetto di questi piccoli tocchi sul salottino!

📚 Non poteva mancare, poi, qualche libro nuovo, e le scelte che ho fatto mostrano ancora una volta quanto mi divida tra letteratura italiana e americana.
Dialoghi con Leucò di Pavese è una lettura in cui non vedo l’ora di immergermi, un connubio tra mitologia classica e grandi temi dell’esistenza umana. Lo accompagna il mio primo Fenoglio, Una questione privata, romanzo d’amore e guerra ambientato nel periodo della Resistenza. I due libri, dunque, si inseriscono pienamente nel mio progetto di recupero della letteratura italiana del Novecento, che ho iniziato nel 2019 proprio con Pavese (La luna e i falò) e che finora mi ha fatto scoprire anche Morante, Moravia, Ginzburg e Calvino.
Sul versante letteratura americana, invece, ho preso la Trilogia della Pianura di Kent Haruf (Benedizione, Canto della pianura e Crepuscolo), che ho trovato in cofanetto. Non ho mai letto Haruf, e queste storie mi attirano per l’ambientazione – una piccola cittadina americana – e per la celebrazione delle straordinarie vite comuni: due caratteristiche che le rendono perfette per l’autunno, anche considerando i toni lievi e intensi, semplici e lirici di cui sembrano intrise.

🧡 Per accompagnare le letture, come anche, ovviamente, le sessioni di scrittura mattutine e serali, trovo perfette le candele profumate. Quest’anno ne ho voluto prendere un’intera famigliola – tutte, chiaro, con aromi dolci e autunnali: Autumn leaves, Autumn glow, Autumn pearl, Crisp campfire apples.
I loro profumi hanno cominciato ad accompagnare le mie ore di scrittura già da qualche giorno, e insieme a una playlist tutta autunnale e alla pioggia frequente stanno ispirando tantissime immagini, storie e poesie.

🍂 Ne parleremo! Intanto, benvenuto ottobre! 🐿️

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Indomabili onde di Paola Kovalsky

Cuba per me era una canzone pompata a mille nelle casse di uno stereo, tanto da non riuscire a restare ferma […], racconta Claudia nel capitolo 5 di Indomabili onde, usando un’immagine che rimane impressa, come molte altre che l’autrice, Paola Kovalsky, costruisce via via tra le pagine del suo romanzo d’esordio. 
Cuba assolata, del mare ruggente e ipnotico del Malecón, dei cieli auriferi e dei gabbiani garruli, delle macchine in corsa e delle feste di rum e sigari, vestita di colori e di musica, esotica e conturbante di stimoli, che riempie di vitalità e spinta emotiva, intensifica le emozioni, rende ebbri ed esausti.
Cuba che è anche e soprattutto terra ferita ma orgogliosa, resistente e coriacea oltre ogni misura. Cuba con il suo popolo dalla tempra indomabile.

La copertina del romanzo "Indomabili onde" di Paola Kovalsky.
Indomabili onde di Paola Kovalsky.

Perché è di questo che parla Indomabili onde. Di un popolo rivoluzionario, di una Rivoluzione che l’autrice decide di trasportare ai giorni nostri, rappresentandola e narrandola attraverso gli occhi di Claudia, giovane italiana che vedrà la sua vita cambiare dopo l’incontro con questi ideali, con questi grandi personaggi storici.

E del romanzo sono protagonisti, questi personaggi. La Kovalsky ce li racconta con attenzione, con sensibilità ma anche con naturalezza, come solo chi li ha studiati bene potrebbe fare.
Camilo Cienfuegos ed Ernesto Guevara, in particolare, sembra davvero di averli davanti.
Camilo, perennemente allegro e apparentemente felice, incantatore ed esperto ballerino, dalle espressioni complici e dallo sguardo fiero, e il cui sorriso, il cui buonumore rendono impossibile non volergli bene. Camilo che sa essere tenero, che sa innamorarsi e darsi all’amore, Camilo che vuole vivere a pieno le emozioni, spingersi verso la costa e tornare indietro, urlare di rabbia, inghiottire la vita e berla a pieni sorsi.
E poi Ernesto con quegli occhi scuri e magnetici, attenti ai dettagli come pochi o nessuno; occhi che poi diventano un pozzo di dolore, […] tristi, come sconsolati, pur condividendo il viso con la piega ferina della bocca, in grado di trasformare la sua espressione da afflitta a bellicosa. Ernesto con il suo carisma, la sua virile sessualità nei modi di fare, di parlare. Ernesto del quale la Kovalsky mette in luce non solo le spinte ideali, ma anche quel lato romantico, letterario, e quello più profondamente umano.

A Claudia, piena di entusiasmo innocente, questi personaggi incutono fascino e timore, mentre le loro ideologie e il loro carisma penetrano in lei e la stravolgono. Sì, perché questo è un libro che parla di ideologie, moralità, giustizia, consumismo, coscienza politica, diritti e libertà, ed è al tempo stesso un libro che trascina in un vortice di emozioni. Perché il fuoco della Rivoluzione si mischia ai tumulti interni dell’anima di Claudia, e perché la natura umana è imperfetta, carnale, contradditoria ed irrazionale. E allora c’è l’infatuazione, c’è l’amore, ci sono i sentimenti soffocati, le illusioni e le disillusioni, la nostalgia, il rimpianto, la rabbia e il dolore.
L’ultima sezione del romanzo è la più forte, la più dolorosa. Impossibile restare indifferenti, impossibile non farsi coinvolgere, impossibile non commuoversi. Si soffre e si piange insieme a quella scrittura che per tutto il romanzo sembra averci spinto per portarci fin lì, dove scorre ancora più forte, dove ci trascina come un fiume in piena verso indomabili onde di dolore, che si infrangono, nell’ultima pagina, sulle due meravigliose e pregnanti citazioni finali – Brecht e Pavese – messe lì come a suggello della storia e di quel dolore che sembrano imprimere e al tempo stesso accarezzare, rendendolo intimo e universale.

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