Di agrumeti e ispirazione

Una pianta di arancio con fiori e frutti insieme: uno spettacolo della natura!


🌿 “E gli aranci, ancora una volta, regalavano uno spettacolo unico. Spesso, quando fiorivano, i frutti tardivi erano ancora sulle piante, ed era frequente vedere le loro verdi chiome colorarsi di arancio e bianco insieme, frutti del colore del sole e fiori simili a piccole stelle candide.” 🍊🌸 Mari Ermi, p. 154

“E poi si era messa a osservare le piante, i fiori, gli insetti e, più in generale, l’abbraccio vivace e delicato con cui la primavera, quel venti di aprile, colorava il mondo attorno a loro. […] farfalle variopinte disegnavano qua e là danze briose, lasciando ammirare il proprio splendido gioco d’ali – ora morbido e lento; ora rapido, intenso, quasi confuso – non appena si posavano sui fiori; nel frattempo le api, spesso annunciate da un grazioso ronzio, orbitavano curiose attorno alle piante e, qualche volta, anche attorno a loro.”
🦋🐝 Mari Ermi, pp. 180-181

Un'ape su una zagara.
Una Vanessa atalanta sulle zagare.




Ho scattato queste foto il 7 aprile 2023, negli agrumeti di Milis.

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La dedica di Mari Ermi

La dedica di Mari Ermi a mia nonna Antonica.
La dedica di Mari Ermi a mia nonna Antonica.

Non mi è possibile spiegare tutto ciò che mia nonna è stata per me.
Un esempio di fierezza e di tenacia, una forza di volontà che niente ha mai potuto scalfire. Nonostante tutto ciò che ha dovuto affrontare è sempre rimasta in piedi, ognuno dei suoi novantadue anni, senza arretrare mai di un passo. Così instancabile, così testarda, così forte semplicemente.
Non mi è possibile spiegare quanto le storie che raccontava sulla sua infanzia – sui tempi della guerra, soprattutto – abbiano arricchito la mia vita. Testimonianze preziosissime. Testimonianze raccontate sempre, dalla prima all’ultima volta, con una lucidità e una precisione impressionante. 
Il dolore per la sua perdita, immensa per la famiglia e per la comunità intera, è stato grande tanto quanto la gratitudine per avere avuto la possibilità di conoscerla, di averla vicino per tanti anni e di sentire la sua voce e le sue storie.

E io davvero credo di averlo capito così, ascoltando lei, quanto sia importante la memoria.
Lo è, anzitutto, a livello individuale. Ricordare chi siamo – i momenti vissuti, le emozioni provate – è parte fondante della nostra coscienza di esseri umani. Ci definisce.
C’è poi tutta la dimensione storico-collettiva, gli infiniti motivi per cui dovremmo ricordare bene e sempre il passato: ci aiuta a conoscerci e a capire da dove veniamo, a interpretare il mondo e a orientarci e progettare al meglio il futuro.
Nelle storie che mia nonna mi raccontava sulla sua infanzia – gli episodi sui tempi della guerra, in particolare – questi due livelli si univano, perché mentre ricordava le sue emozioni lei tramandava anche la memoria storica di tanti eventi. Ad ascoltarla, io ogni volta mi incantavo.
E piano piano la mia sensibilità sull’importanza della memoria si è legata indissolubilmente alla scrittura.
Devo dirlo: non solo la capacità di vivere emozioni e ricordarle, ma soprattutto la possibilità di raccontarle e fissarle per sempre attraverso la parola scritta suscita in me una commozione forte, profondissima.

Quello della memoria è il potere più grande che attribuisco alla scrittura. Il valore più grande.
E la memoria è tutto.
Per questo Mari Ermi è dedicato a mia nonna.

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La prima presentazione di Mari Ermi è stata una serata indimenticabile

Amo tantissimo raccontare emozioni e al contempo la considero sempre una sfida enorme, specialmente quando le emozioni sono tante, tanto belle e tanto profonde.
È il caso del pomeriggio del 4 aprile alla Biblioteca comunale di Cabras: un tè letterario dedicato a me e a Mari Ermi, un insieme di prime esperienze – il mio primo tè letterario, la prima vera e propria presentazione del mio romanzo – ricche di momenti intensi di gioia e condivisione.

Mi viene da dire, prima di tutto, che mi sento grata. Grata alle ragazze della Biblioteca Comunale di Cabras per l’onore di questo invito e per il modo in cui hanno accolto me e apprezzato il mio romanzo. Grata alle persone che hanno avuto il piacere di partecipare, in ruoli e modi diversi, con così tanto entusiasmo. Grata, come sempre, alla mia casa editrice, per aver creduto nella mia scrittura.

Uno degli aspetti che ho amato di più di questa presentazione: la disposizione a cerchio, che mi ha fatto sentire ancora più vicina al pubblico.

Ci ho riflettuto un po’, poi ho deciso di raccontare questo pomeriggio attraverso i tanti aspetti che hanno contribuito a renderlo indimenticabile.

La disposizione a cerchio, per esempio. Mi ha fatto sentire ancora più vicina al pubblico – cosa a cui tenevo molto e che è stata ben compresa dal personale della biblioteca – e ha donato un tocco di familiarità a un ambiente già di per sé accogliente e caloroso.

La splendida presentazione curata dall’assistente di biblioteca Eleonora Poddi. Lei ha parlato un po’ di me, del mio percorso e della mia “attività letteraria” sul blog e sui social network, sulla quale mi ha anche invitato a raccontare qualcosa. Investo tantissimo tempo su questi canali, e sapere che il mio lavoro sia stato compreso e apprezzato così tanto – e poterne anche parlare un po’ – mi ha riempito di gioia.

Io, la relatrice Arianna Garau e l'assistente di biblioteca Eleonora Poddi durante la presentazione.

E poi il dialogo con Arianna Garau, una giovane professoressa che aveva letto e apprezzato Mari Ermi qualche mese fa e che ha avuto il piacere di fare da relatrice in questa giornata. Io e Arianna – che coincidenza, poi: Arianna presenta Arianna! – non ci eravamo mai viste né sentite prima, eppure siamo entrate subito in sintonia: sarà stato il nome o il vecchio e caro liceo in comune, sarà che era una giornata di prime volte – per me prima presentazione, per lei prima volta da relatrice – o sarà, semplicemente, che quando una persona scrive un libro e un’altra lo legge con una simile profondità questo è inevitabile.
Sì, perché mi sono sentita onorata della presentazione che Arianna ha preparato per il mio Mari Ermi. Un’analisi precisa, accurata, che ha toccato tutti i punti a cui tenevo di più – peraltro con una passione nei confronti del romanzo che mi ha emozionata – evitando al tempo stesso anticipazioni sulla trama.

Un altro degli aspetti che ho amato di più: poter raccontare il romanzo - e anche un po' me stessa - con grande spontaneità.

Le sue considerazioni e le sue domande sui personaggi e sui temi portanti mi hanno dato l’opportunità di parlare di tante cose: la ricerca di un posto nel mondo, le difficoltà dei giovani universitari, il ruolo della natura nella nostra esperienza umana, l’importanza della memoria individuale e storico-collettiva. È stato bello poter parlare di temi così complessi in modo così semplice e diretto, e avere al contempo la possibilità di raccontare qualcosa sul mio rapporto con la Sardegna, sulla genesi del romanzo, sui retroscena, sul ruolo della spiaggia di Mari Ermi, sul mio lavoro alle parti descrittive.

Ci sono state anche le letture, naturalmente, e Arianna e il personale della biblioteca mi hanno emozionato tanto scegliendo di leggere, oltre alla descrizione della spiaggia di Mari Ermi, un passo tratto da un capitolo a cui tengo moltissimo – quello delle storie di nonna Antonica – e dandomi la possibilità di parlare del nostro rapporto con gli anziani e di raccontare qualcosa anche sulla mia cara nonna. È stato un momento davvero toccante e sono molto grata a tutte loro per aver scelto di dare spazio a questa parte del romanzo, per averla apprezzata così tanto.

Infine, le chiacchiere a tu per tu con le persone durante il firmacopie e l’incontro con una mia cara amica hanno regalato un altro tocco di gioia a questo evento letterario che non dimenticherò facilmente.

Sono davvero, davvero felice di questa prima presentazione. Credo sia emerso un quadro completo del romanzo e, insieme, un ritratto sincero di me, che mi sono sentita libera di chiacchierare con spontaneità in questo ambiente accogliente fatto di persone entusiaste e partecipi.
È stato un pomeriggio piacevolissimo, vivace, felice. È stato un pomeriggio di sorrisi e condivisione.
Uno di quei pomeriggi che porti sempre con te. Uno di quei pomeriggi in cui torni a casa pensando che questo della scrittura è un mondo difficile, ma che le soddisfazioni che dà sono davvero immense.

Se hai piacere di vedere altri scatti di questa serata, visita la galleria fotografica dedicata a Mari Ermi cliccando qui. 😉

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Albe di scrittura

Albe di scrittura.

Fino a poco tempo fa sono stata una scrittrice notturna: mi piaceva l’idea di lasciare la scrittura alla sera, di archiviare le incombenze della giornata e buttare giù due parole con la mente sgombra. Il risultato, però, era deludente: quando arrivava il tanto sospirato momento di scrivere, la stanchezza aveva la meglio e non riuscivo a concentrarmi. Eppure, ostinata, non concepivo un altro modo. Comprendevo la necessità di ritagliare per la scrittura uno spazio reale, stabile, nella mia giornata, e quello era il mio tentativo di disciplina: provare a scrivere ogni sera, a volte riuscendoci, altre volte – la maggior parte – fallendo.
Quando finalmente ho capito che in quel modo non poteva proprio andare, ho pensato a un’inversione drastica di approccio. È così che ho iniziato ad alzarmi prima la mattina. E ho scoperto che mettermi al pc e scrivere appena sveglia è molto più facile di quanto avrei mai pensato. Non tanto perché a quell’ora la mente è più fresca, quanto perché, semplicemente, la giornata non è ancora iniziata, e davvero è più semplice – semplice, appunto – sentirmi tranquilla, mettere da parte i pensieri sugli impegni, sul lavoro, su tutto, proprio per la consapevolezza che tanto è ancora presto e che quei pensieri possono attendere. Non per niente il telefono giace lontano, capovolto.
Mi piace, poi, la sensazione di scrivere mentre il mondo attorno a me è ancora addormentato: il silenzio, il cielo scuro che inizia a schiarirsi, la candela accesa a farmi compagnia; i suoni croccanti del fuoco in inverno, il primo cinguettare degli uccellini e l’aria fresca attraverso la finestra aperta nella bella stagione.
In questo ho trovato la mia dimensione, in questa combinazione di disciplina e relax che favorisce il lavoro ai miei brani più impegnativi e ormai da qualche mese mi consente di dare alla scrittura un posto stabile nelle mie giornate. Anni fa, se mi avessero detto che mi sarei alzata presto per scrivere mi sarei fatta una grassa risata. Ora, però, ho imparato una lezione importante: quando qualcosa non funziona, è sempre utile cambiare prospettiva, provare a guardarla in un modo che mai avrei considerato prima.

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California di Francesco Costa e le emozioni di quella magia un po’ dannata

Il libro California di Francesco Costa e una mia felpa, ricordo prezioso dell'esperienza a San Francisco.
Il libro California di Francesco Costa e una mia felpa, ricordo prezioso dell’esperienza a San Francisco.

Rimbalzare tra malinconia, gratitudine e nostalgia. Rimbalzare tra fascino e disincanto. Tra la voglia di tornare lì per rivivere quella magia un po’ dannata e il sollievo per aver scelto di non restare. Rimbalzare. Mi ha fatto rimbalzare, questo libro.
Mi ha fatto arrabbiare, sorridere, piangere. Mi ha reso orgogliosa perché molte di quelle cose io le ho conosciute bene, perché quando Costa descrive lo spirito di San Francisco io capisco esattamente cosa intende. Mi ha rattristata perché gli sviluppi post pandemia fanno un male tremendo. Mi ha spiegato l’origine di situazioni che ho toccato con mano. Mi ha fatto pensare che certe cose avrei voluto saperle prima di partire e, d’altra parte, che sono contenta di averle scoperte lì, giorno dopo giorno.
Ho rivisto le colline dorate, le cascate di Yosemite, le vigne di Napa Valley, le foreste di sequoie. E San Francisco, soprattutto San Francisco. Mi ha riportato tra le urla del Tenderloin e tra le nebbie pacate a Inner Richmond. Tra le difficoltà che la città mi ha costretto ad attraversare, tra le possibilità incomparabili che mi ha offerto. Mi ha ricordato alcune tra le notti più difficili e alcune tra le giornate più spensierate che abbia mai vissuto. Mi ha riportato su quella bici sul Golden Gate Bridge col vento tra i capelli e l’Oceano Pacifico sotto e ovunque.
Mi ha ricordato come può succedere che il posto più spiazzante al mondo a un certo punto diventi, in qualche modo, casa. Come si arriva da un misto di entusiasmo e confusione a un amore profondo per un luogo che impari a conoscere nel bene e nel male.
Dopo questo libro ho bisogno di pensare, ho bisogno di scrivere. Di luoghi per cui provi un trasporto che non capisci e di cosa accade quando quei luoghi ti attraversano. Di come nascono certi legami. Dell’impatto e del significato di esperienze che definiscono chi sei. Di ricordi, emozioni e stati d’animo legati solo alla California. Di solitudini, risate, atti ribelli, malinconie, soddisfazioni, difficoltà e piccole audacie che appartengono solo a San Francisco. Di cose che non torneranno più, mai più, ma che ci saranno sempre dentro di me. Lacrime. Gratitudine.

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Equinozio di primavera

Il mio romanzo Mari Ermi immerso tra le margherite.

🌱🌸 “Mentre passeggiava tra le piante, i suoi capelli ondulati si mescolavano ai raggi del sole e Antonio li guardava affascinato. A quel dolce tono castano si intersecavano linee sottilissime di un arancio rossiccio e altre tonalità color dell’oro. Inoltre, a ogni guizzo della luce, quei riflessi sembravano danzare insieme tra le ciocche, e sulle punte si arricciavano in un morbido color miele. Si chiese se Ambra si rendesse conto dell’effetto che faceva il sole sui suoi capelli e se le piacesse. In quel momento sembrava distratta, come se la primavera le avesse infuso un pizzico in più di leggerezza, il che la rendeva magnifica. Era stata lei a voler interrompere il lavoro alla casetta, voleva fare un giro nell’orto, gli aveva detto. E poi si era messa a osservare le piante, i fiori, gli insetti e, più in generale, l’abbraccio vivace e delicato con cui la primavera, quel venti di aprile, colorava il mondo attorno a loro. Le zagare, i candidi fiori d’arancio, sbocciavano in un trionfo mozzafiato tra le foglie verdi e gli agrumi dorati; sull’altro lato del terreno, la nascita simultanea di fiori e foglioline avvolgeva i peri e i meli in un manto leggero, bianco e verde tenero. I susini, invece, erano fioriti già da tempo, come i due albicocchi; i loro rami, nudi di foglie, si erano rivestiti di un’eleganza festosa, semplice e bellissima. E mentre i rumori tra le canne e i fruscii nel fogliame sembravano più vivaci e più frequenti, e il chiacchiericcio degli uccelli più animato, farfalle variopinte disegnavano qua e là danze briose, lasciando ammirare il proprio splendido gioco d’ali – ora morbido e lento; ora rapido, intenso, quasi confuso – non appena si posavano sui fiori; nel frattempo le api, spesso annunciate da un grazioso ronzio, orbitavano curiose attorno alle piante e, qualche volta, anche attorno a loro.” 🦋🌺🐝
🌿Mari Ermi, parte II, cap. 9

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Più di qualcosa sull’esergo di Mari Ermi

L'esergo di Mari Ermi.
L’esergo di Mari Ermi.

Sarà per il modo in cui l’ho scoperto; sarà che l’ho scoperto quando il libro era ancora a uno stato embrionale; sarà che da subito ha avuto il potere di accendere la mia immaginazione e di scuotermi dentro. Sarà, anche, che il capolavoro di Rancore e DJ Myke – un concentrato di parole pregnanti e musica evocativa, e un ritornello che spinge ad alzare la testa, guardarsi attorno e cercare le cose buone, perché rimanda alla luce del sole, forte anche tra le nuvole – mi ha accompagnato e aiutato moltissimo durante gli anni universitari, quelli del lavoro al romanzo, col suo messaggio di speranza e bellezza.
Basterebbero questi motivi per spiegare la scelta di due versi di Sunshine come esergo al mio Mari Ermi.
Basterebbero, eppure non racconterebbero la cosa più importante. Che questo esergo io l’ho immaginato da subito. Che mi è sempre sembrato di sentire in questi due versi lo spirito di fondo del mio romanzo: l’importanza della ricerca di sé, dell’ascolto della propria interiorità, del credere con tutte le forze nei propri sogni, per quanto folli possano sembrare; l’importanza, in questo senso, di un contatto profondo con la natura, che ci aiuta sempre ad ascoltarci.
La natura, attraverso la quale i miei personaggi riscoprono le proprie coscienze.
La natura, grande protagonista de Il richiamo della foresta, uno dei libri a me più cari del mio amato Jack London, che Rancore evoca proprio qui, trasformando il mio esergo in una doppia citazione e spingendomi a chiedermi se le cose accadano davvero per caso. Perché Il richiamo della foresta è la storia di Buck, cane lupo di casa che attraverso varie peripezie entra in contatto con la natura selvaggia, riscoprendo così la parte più viscerale di sé e decidendo di abbracciare la vita dei suoi antenati, di tornare al suo primordiale – cane lupo selvaggio – proprio grazie a questo “richiamo” (The call of the wild è il titolo originale).

Non mi capita spesso di pensare che ogni cosa vada al proprio posto, ma con l’esergo di Mari Ermi, che ho scelto io e che al contempo non riesco a smettere di guardare con stupore e gratitudine, come se fosse lui ad aver scelto me, la sensazione è proprio questa.

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Dalla scrittura come disciplina alla scrittura come atto di libertà

I quaderni con cui sto riscoprendo la scrittura come atto di libertà. Quanto mi piacciono!
I quaderni con cui sto riscoprendo la scrittura come atto di libertà. Quanto mi piacciono!

Scrittura e disciplina, scrittura è disciplina. Ne parlavo il mese scorso, accennandovi a come nel 2022 io abbia iniziato a lavorare sul serio su questo fronte.
Oggi voglio raccontarvi la base del mio nuovo percorso, e comincio col dirvi che considero il 1° agosto la data spartiacque: dopo diverse riflessioni nelle settimane precedenti, quel giorno ho preso una decisione. Ero a casa mia in Sardegna, avevo con me un quaderno invitante e ancora intonso – è quello con le margherite in foto – e ho deciso che l’avrei iniziato allora, impegnandomi a scrivere qualcosa tutti i giorni, anche solo due righe, anche solo due cavolate senza capo né coda.
Ho cominciato così, nella penombra di una camera in un primo pomeriggio troppo caldo anche per andare al mare, e non ho più smesso. Con oggi sono sette mesi che scrivo ogni giorno – l’ho fatto anche in vacanza, anche nelle giornate più impegnative col lavoro – e sono ormai a metà del secondo quaderno. Ogni giorno so che, se anche non riuscirò a lavorare ai miei progetti di scrittura, comunque scriverò qualcosa lì sopra. Perché, sì, quel buon proposito – quell’impegno da rispettare – è diventato col tempo una necessità, un bisogno irrinunciabile.
E forse lo è anche per il modo in cui utilizzo questo quaderno.
Tra le sue pagine, infatti, io non scrivo storie, poesie o racconti. No. Una volta al giorno, in un momento qualsiasi, io lo apro, ci poggio la penna e scrivo la prima cosa che mi viene in mente. Spesso mi ritrovo a parlare di me, della mia giornata, di pensieri che rimugino, anche del tempo. A volte scrivo tre pagine, a volte solo mezza, ma è sempre incredibile ciò che viene fuori.
Ho cominciato con l’idea di acquisire la disciplina e la costanza e di fare più esercizio, e sì, ha funzionato, ma poi mi sono accorta di quanto mi sia utile anche per svuotare la mente e, soprattutto, per scrivere per il semplice gusto di farlo: senza pretese, senza stress, senza dover per forza produrre qualcosa di decente. Mi ha aiutato, insomma, a riscoprire la scrittura come atto di libertà, la scrittura come puro e semplice amore per la scrittura stessa, e a questo adesso non posso più rinunciare.

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Niente di nuovo sul fronte occidentale è un libro innocente e terribile

La mia edizione di Niente di nuovo sul fronte occidentale. 
Foto scattata nell'inverno 2023.
La mia edizione di Niente di nuovo sul fronte occidentale.
Foto scattata nell’inverno 2023.

Innocente e terribile.
Le prime parole che mi sono venute in mente, dopo solo poche pagine, sono proprio queste, e sono le stesse che continuano a girarmi in testa a lettura conclusa ormai da diversi giorni.
La verità è che io di un libro così, di un libro, cioè, che racconta la guerra di trincea attraverso lo sguardo di ragazzi giovanissimi, di un libro che racconta il sacrificio di una generazione spezzata, ecco, io di un libro così non so nemmeno cosa dire.
Vorrei riportare qui sotto citazioni su citazioni, ma non avrebbe alcun senso: Niente di nuovo sul fronte occidentale deve essere letto. Bisogna lasciarsi travolgere dalle pugnalate inferte dalle parole di Remarque; bisogna girarsi e rigirarsi in testa quelle scene così vivide, così devastanti; bisogna aprire gli occhi, subire l’impatto e lasciarsi riempire dall’orrore.

Questo libro è fango, dolore, disperazione, innocenza, urla, cameratismo, lacrime, rabbia, terrore, tenerezza, impotenza, rassegnazione, ingiustizia, speranza, attesa spasmodica, amicizia, sangue, nostalgia, commozione.  
È un libro innocente e terribile.
È un libro innocente.
È un libro terribile.
È un libro imprescindibile.

“Avevamo diciott’anni, e cominciavamo ad amare il mondo e l’esistenza: ci hanno costretti a spararle contro.”

“Le nostre mani sono terra, i nostri corpi fango, i nostri occhi pozzanghere di pioggia. Non sappiamo quasi se siamo ancora vivi.”

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Il mistero profondo che pervade Cavalli selvaggi

La mia edizione di Cavalli selvaggi.
Foto scattata nell'inverno 2023.
La mia edizione di Cavalli selvaggi.
Foto scattata nell’inverno 2023.

La ricerca di un posto nel mondo da parte del giovane John Grady Cole, il suo viaggio a cavallo dal Texas al Messico, le esperienze con l’amicizia, la cattiveria, l’amore, l’ingiustizia, l’arroganza dei potenti, il dolore: Cavalli selvaggi è un vero e proprio romanzo di formazione, ma le atmosfere e le ambientazioni tutte western gli conferiscono un respiro raro, arcano, e il risultato è maestoso.
È un viaggio per le strade dello spazio e del tempo, è la ricerca di se stessi nella ricerca di un passato mitico, è il contatto con la propria identità nel contatto con la natura aspra e solitaria, sperduta e bellissima, onnipresente e selvaggia.
E selvaggio è anche il fascino di questo romanzo: una visione cupa, spesso desolata, del genere umano accordata a descrizioni di un lirismo intenso, a paesaggi che sembrano di mondi primordiali, a immagini di poesia pura.
C’è un mistero potente che sembra pervadere ogni pagina, un mistero che non riuscivo e non volevo sondare ma che ha coinvolto ogni fibra di me: è lo stesso mistero che mi è rimasto addosso nelle vesti di un’emozione confusa, stupefatta, di una commozione inafferrabile e profonda.

***

Credo che in casi come questi risulti utile e necessario lasciar parlare direttamente il libro. Ecco perché ho deciso di trascrivere una serie di passi che mi hanno colpito particolarmente e che credo risultino rappresentativi delle sensazioni che Cavalli selvaggi è in grado di trasmettere. Si tratta di passi che ho sottolineato, letto e riletto più volte, e mi piace l’idea di averli anche qui sul blog, di poterli ritrovare in qualsiasi momento.
Li raccolgo sotto alcune parole chiave; le pagine si riferiscono all’edizione Einaudi 2014.

Atmosfere

“Era l’ora che preferiva da sempre, l’ora delle ombre lunghe, quando nella luce rosata e obliqua l’antica strada prendeva forma davanti ai suoi occhi come un sogno del passato nel quale i cavalli dipinti e i cavalieri di quel popolo perduto, con le facce istoriate […] Quando soffiava il vento da nord si sentivano gli indiani, i cavalli, il fiato dei cavalli, gli zoccoli foderati di cuoio, il tintinnio delle lance e il perpetuo frusciare dei travois trascinati sulla sabbia […] I guerrieri, invece, fra rumori di asce e lance da età della pietra prive ormai d’ogni efficacia, avrebbero proseguito nell’oscurità destinata a inghiottirli, cantando sommessamente alla maniera degli avi e spingendosi speranzosi a sud nelle pianure che portavano al Messico.” (pp. 7-8)

“Nella notte fredda e chiara le rosse scintille del fuoco si perdevano fra le stelle.” (p. 12)

“Sdraiato sotto la coperta, John Grady contemplava il quarto di luna reclinato sulla cresta delle montagne. In quella falsa alba blu le Pleiadi sembravano levarsi nell’oscurità sopra il mondo trascinando con sé tutte le stelle, mentre il gran diamante di Orione, Cepella e il marchio di Cassiopea sembravano una rete da pesca gettata nel buio fosforescente. Rimase là a lungo ad ascoltare il respiro degli altri che dormivano e a contemplare la natura selvaggia fuori e dentro di sé.” (p. 59)

“John Grady rimase a guardare il firmamento srotolarsi dalle scure palizzate delle montagne che sorgevano a oriente. Il villaggio era buio pesto. Non un cane abbaiava. […] L’orsa maggiore al confine settentrionale del mondo ruotò e la notte parve non passare più.” (p. 80)

“Grandi pascoli verdi si estendevano a perdita d’occhio nella densa bruma violetta della sera e a occidente piccoli stormi di uccelli acquatici, come branchi di pesci in un mare infuocato, migravano a settentrione sullo sfondo delle gallerie rosse scavate nelle nuvole dalla luce del tramonto. Nella pianura più vicina videro alcuni vaqueros spingere avanti il bestiame attraverso un velo di polvere d’oro.” (p. 91)

“Di notte s’accampavano sulle alture dove il fuoco agitato dal vento saettava nel buio […]” (p. 110)

“Distesero le coperte e John Grady si tolse gli stivali, li mise accanto a sé e si sdraiò vicino alla brace. Guardò le stelle e l’ardente cintura di materia che correva lungo la nera volta celeste. Poi allungò le braccia lungo i fianchi e premendo le mani contro la terra si lasciò girare lentamente nelle tenebre di quella cupola gelida e ardente, sentendosi al centro del mondo teso e tremante che si muoveva enorme e vivo sotto le sue mani.” (pp. 118-119)

“[…] vero il cavallo, vera l’amazzone, vero il cielo e vera la terra, eppure tutto era un sogno.” (p. 131)

“Sulla mesa videro un temporale arrivare da nord e all’imbrunire la luce divenne spettrale. I verdi occhi scuri dei laghetti incastonati nella savana deserta sembravano squarci aperti su un altro universo. A ponente le nuvole gonfie di pioggia lasciavano filtrare lame di luce sanguigna che a un tratto avvolsero il paesaggio in un’aura violetta.
Sedettero sulla terra vibrante a causa dei tuoni e alimentarono il fuoco coi resti di un vecchio steccato. Stormi d’uccelli provenienti dalla campagna sbucavano dalla semioscurità sfiorando il bordo della mesa e i lampi saettavano all’orizzonte come infuocate radici di mandragola.” (pp. 136-137)

“Allora lei gli raccontava le storie della famiglia paterna e del Messico mentre le stelle cadevano a centinaia e le luci della valle sembravano muoversi come se il mondo girasse intorno a un altro centro. […] Era così bianca nell’oscurità che sembrava ardere. Come un fuoco fatuo in una foresta buia. Che ardeva freddo. Ardeva freddo come la luna.” (p. 140)

“Viaggiò tutta la notte e al primo chiarore dell’alba, in groppa al cavallo stremato, s’inerpicò su un’altura al di sotto della quale scorse il villaggio, il chiarore giallino della prime finestre illuminate, le case dai vecchi muri di fango e gli esili fili di fumo che si levavano verticalmente nell’alba senza vento perdendosi nell’oscurità. L’aria era così immobile che il villaggio sembrava appeso a quei fili.” (p. 257)

“Poi venne buio pesto e il deserto piombò nell’immobilità e nel silenzio. Si sentiva solo il respiro dei cavalli e il rumore degli zoccoli sulla terra. John Grady puntò il cavallo sulla stella polare e proseguì la marcia mentre la luna sorgeva a levante i coyote ululavano rispondendosi lungo tutta la piana.” (p. 284)

Luna

“E insieme s’erano avviati sulla strada della ciénaga alla luce della luna che brillava a ponente come un panno bianco steso ad asciugare fra gli ululati dei cani.” (pp. 139-140)

“La luna appena sorta danzava sui fili della luce come una nota musicale argentata accesa nell’oscurità senza fine.” (p. 220)

“La luna risplendeva a ponente mentre lunghe nuvole piatte le scorrevano davanti come una flotta fantasma.” (p. 296)

Sole, confini, orizzonti

“Buio, freddo, non un filo di vento e un sottile chiarore che cominciava a spuntare lungo il confine orientale del mondo.” (p. 5)

“L’ultima luce del giorno inondò la pianura alle spalle del cavaliere e si ritirò nuovamente lungo i confini del mondo nella fresca ombra azzurrina del crepuscolo sempre più freddo, fra gli ultimi cinguettii degli uccelli rintanati nell’oscuro groviglio dei rovi.” (p. 8)

“A ponente la campagna si estendeva a perdita d’occhio in un gioco di luci e di ombre e in lontananza, a più di cento miglia, le nubi nere dei temporali estivi incombevano sulle cordigliere che si levavano e sparivano nella foschia tremolando incerte all’estremo limite dell’orizzonte visivo.” (p. 225)

“A ovest il sole calante spuntò dalle nere nubi sui monti e arrossò una stretta striscia di cielo che sembrava un filo di sangue nell’acqua.” (p. 283)

Libertà

“Cavalcò con la faccia ramata dal sole nel vento rosso che soffiava da ovest.” (p. 8)

“Le luci scomparvero alle loro spalle. S’inoltrarono nella prateria mettendo le bestie al passo sotto il cielo nero trapunto di stelle. Da qualche parte nella notte vuota i rintocchi di una campana risuonarono e si spensero lontano dove campane non ce n’erano. Sulla superficie ricurva della terra buia e senza luce che sosteneva le loro figure e le innalzava contro il cielo stellato, i due giovani sembravano cavalcare non sotto ma in mezzo alle stelle, temerari e circospetti al contempo come ladri appena entrati in quel buio elettrico, come ladruncoli in un frutteto lucente, scarsamente protetti contro il freddo e i diecimila mondi da scegliere che avevano davanti a sé.” (p. 31)

Treno, automobile

“Fischiando e sbuffando in lontananza, il treno sbucò da est come un irriverente satellite del sole che stava per nascere. Il lungo fascio dell’unico faro esplorava l’intrico dei cespugli di mesquite, faceva emergere nella notte lo steccato diritto e senza fine che costeggiava i binari e di nuovo risucchiava nel buio miglia e miglia di fili e paletti lasciandosi dietro il frastuono insistente e il fumo della caldaia a vapore che si sfrangiava lento nell’incerto chiarore del nuovo giorno.” (p. 6)

“La polvere sollevata dall’auto aleggiava davanti a loro a perdita d’occhio, vorticando lentamente al chiarore delle stelle come le spire di una creatura enorme che emergeva dalla terra.” (p. 124)

“Il treno arrivò sbuffando e si fermò ansimante con i finestrini illuminati dei vagoni che si perdevano lungo il binario ricurvo come grandi tessere di domino accese nel buio.” (p. 254)

Cavalli

“Ciò che amava nei cavalli era la stessa cosa che amava negli uomini, il sangue e il calore del sangue che li animava. Tutta la sua stima, la sua simpatia, le sue propensioni andavano ai cuori ardenti. Così era e sempre sarebbe stato.” (p. 8)

“Il ragazzo, che cavalcava poco più avanti, stava in sella come ci fosse nato, e infatti era così, ma dava l’impressione che, se fosse nato in uno strano paese privo di cavalli, avrebbe saputo scovarli ugualmente. Perché il mondo fosse a posto o perché lui fosse a posto nel mondo, si sarebbe accorto che mancava qualcosa e sarebbe andato in giro continuamente e dovunque finché non si fosse imbattuto in un cavallo, e allora avrebbe capito subito che il cavallo era e sarebbe sempre stato quel che cercava.” (pp. 24-25)

“Nel sogno lui correva in mezzo ai cavalli inseguendo le giumente e le puledre che risplendevano al sole nei loro fulgidi manti bai e castani. I puledri correvano insieme alle madri e calpestavano i fiori sollevando una nebbia di polline che aleggiava nell’aria come polvere d’oro. Lui correva sugli altopiani insieme ai cavalli che facevano rimbombare il terreno sotto gli zoccoli, e fluivano liberi con la criniera al vento e la coda spumeggiante. Lassù non c’era nient’altro e i cavalli si muovevano in armonia come fossero guidati da una musica. I puledri e le giumente non avevano alcuna paura e correvano immersi nell’armonia universale che è il mondo stesso e che non si può descrivere, solo esaltare.” (pp. 161-162)

“Sentendo il respiro lento e regolare del cavallo di Blevins scaldargli la pancia e bagnargli la camicia, John Grady si accorse che stava respirando con lo stesso ritmo, come se una parte del cavallo respirasse dentro di lui, e pian piano entrò con la bestia in un’intimità ancor più profonda e priva di un nome.” (p. 265)

Finale

“Nelle raffiche di polvere sanguigna vomitata dal sole spronò il cavallo e riprese a marciare col viso ramato dagli ultimi raggi di luce, mentre il vento rosso dell’ovest spazzava il paesaggio crepuscolare e gli uccelli del deserto svolazzavano cinguettando fra le felci secche, e il cavallo, il cavaliere e il secondo cavallo passarono, e passarono le loro ombre affiancate come l’ombra di un unico essere. Passarono e impallidirono sulla terra sempre più buia, sul mondo a venire.” (p. 299)

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Di Cavalli selvaggi ho parlato anche qui. 😉

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