Quel che affidiamo al vento Laura Imai Messina

Ispirato a un luogo reale, il giardino del Telefono del vento sulla collina di Ōtsuchi in Giappone, questo romanzo affronta i temi della perdita e della rinascita con garbo ma senza timore di toccarti nel profondo.
Tra i punti di forza: la capacità di trasmettere un approccio alla vita, alla perdita, al dolore e alla gioia davvero “confortante”; diverse intuizioni piene di bellezza (l’immagine della cornice mi ha molto colpita); i capitoletti di intermezzo, in grado di alleggerire anche le parti più dolorose; il fascino di un luogo dell’anima più che fisico; il potere di commuovere senza risultare stucchevole.

Diviso in due parti (la prima più struggente, un vero pugno nello stomaco; la seconda più morbida, probabilmente anche meno intensa), il romanzo è caratterizzato da un uso esteso di analessi e prolessi, mentre in certi punti le strutture sintattiche, risentendo forse della conoscenza del giapponese da parte dell’autrice, rendono la prosa poco lineare, con un effetto che può piacere o non piacere.