L’ho concluso solo ieri, ma lo so per certo: questa è una storia che resta.
È una storia che resta per come svela nell’avvicendarsi degli agenti atmosferici il senso delle stagioni e la profondità dello scorrere del tempo.
È una storia che resta perché l’intreccio e i personaggi – molti già presenti in Benedizione e in Canto della pianura – sono raccontati con umanità rarissima.
È una storia che resta perché parlando di solitudine, di separazione, di perdita e di violenza domestica ci racconta, al contempo, di generosità, di attenzione al prossimo, dell’amore nella semplicità dei gesti, del significato autentico dei piccoli riti della quotidianità, dell’importanza di una parola detta al momento giusto.
Ed è una storia che resta perché nel modo più semplice e più pacato possibile Kent Haruf ti sbatte di fronte la meraviglia e la disperazione della vita come nessun altro sa fare.