Cavalli selvaggi Cormac McCarthy

La ricerca di un posto nel mondo da parte del giovane John Grady Cole, il suo viaggio a cavallo dal Texas al Messico, le esperienze con l’amicizia, la cattiveria, l’amore, l’ingiustizia, l’arroganza dei potenti, il dolore: Cavalli selvaggi è un vero e proprio romanzo di formazione, ma le atmosfere e le ambientazioni tutte western gli conferiscono un respiro raro, arcano, e il risultato è maestoso.
È un viaggio per le strade dello spazio e del tempo, è la ricerca di se stessi nella ricerca di un passato mitico, è il contatto con la propria identità nel contatto con la natura aspra e solitaria, sperduta e bellissima, onnipresente e selvaggia.
E selvaggio è anche il fascino di questo romanzo: una visione cupa, spesso desolata, del genere umano accordata a descrizioni di un lirismo intenso, a paesaggi che sembrano di mondi primordiali, a immagini di poesia pura.
C’è un mistero potente che sembra pervadere ogni pagina, un mistero che non riuscivo e non volevo sondare ma che ha coinvolto ogni fibra di me: è lo stesso mistero che mi è rimasto addosso nelle vesti di un’emozione confusa, stupefatta, di una commozione inafferrabile e profonda.

[Di Cavalli selvaggi ho parlato qui e qui]