C’è un tipo di intimità che riguarda me, la mia scrittura e il mondo attorno. Che mette in relazione me e la mia scrittura con luci e ombre, ambienti, umori, stagioni. È un tipo di intimità che sento di vivere profondamente e che ho costante bisogno di esplorare, indagare, capire.
Ne fanno parte, anzitutto, due verità valide sempre, in qualsiasi periodo e momento dell’anno.
Non mi piace scrivere con la luce forte, con il sole in faccia, col chiasso, nella confusione.
Sono amica del buio, delle penombre, delle candele accese, del silenzio.
Ne fa parte, poi, il modo personalissimo che ogni stagione ha di conciliare la mia scrittura.
In autunno e in inverno è il pomeriggio, ammorbidito del calore di un plaid e di un tè, a custodire una tranquillità pregnante di carta e penna.
In primavera l’ispirazione sembra in mano alle mattine, così colme di spontanea energia, così vivaci a far guizzare le parole insieme alla nuova carica, placida e radiosa, della natura.
In estate mi piace attendere la sera, quando il sole è calato e la finestra aperta sulla brezza, e amo soprattutto quelle notti, lente e un po’ misteriose, piene di pace, di stelle e di canti di cicale.
Su tutto, però, vince sempre la pioggia.
La pioggia è in grado di evocare in me l’ispirazione come nient’altro al mondo. Con lei io posso scrivere in qualunque momento, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Con lei prendere penna e quaderno è necessità vitale.
Amo le finestre aperte su piogge silenziose e costanti, adoro le gocce di rovesci che picchiano sui vetri chiusi, vado matta per i temporali estivi – il cielo che si riempie di nuvole grigie, la carica emozionale dei tuoni e dell’acqua in arrivo – quanto per i risvegli in cui il mattino mi pervade di brioso petricore. È una cosa straordinaria, il petricore, un semplice odore che riesce a infondermi un senso di rinascita e di pace col mondo, di freschezza e di quieta vitalità: per questo, credo, desta in me una necessità di scrivere preziosa, pura, impagabile.
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